5 giugno 2010

[Estratto da varie fonti e dall'omonimo saggio di Cinzia Tani]

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Da molti studiosi la donna è stata considerata più crudele dell’uomo nelle vendette, instancabile nell’inseguimento della vittima e con minori scrupoli di coscienza.
Rudyard Kipling ha scritto che la femmina di ogni specie animale è più implacabile del maschio.
F. Tennyson Jesse ha paragonato la donna alla pantera: “Può inseguire la sua preda inesorabilmente giorno dopo giorno, può aspettare il momento giusto, può giocare con la sua vittima e torturarla per puro capriccio, e può uccidere per pura crudeltà come fa la pantera e mai il leone”.
Un gran numero di assassine concepiscono il crimine da sole e colpiscono in segretezza. Non si fidano di nessuno. Spesso considerano l’uomo debole e senza carattere, inutile per la loro implacabile decisione. Sono pochissimi i casi di donne convinte a uccidere da un partner maschile. Esistono molti più casi di uomini convinti da una donna a commettere un delitto. Questo accade soprattutto nei crimini di passione.
Le donne hanno sempre avuto meno interesse per certe passioni che hanno mosso gli uomini come l’ambizione, il gioco, l’alcol, la sconfitta. Quindi moventi di questo genere sono meno comuni nei delitti femminili. Sicuramente invece lo sono la cupidigia e l’amore, la gelosia e la vendetta. In genere però le donne commettono delitti per cupidigia insieme all’uomo, sia esso il marito o l’amante.
Per quanto riguarda la vendetta, scrive Vincenzo Mellusi: “L’abbandono non rappresenta soltanto la perdita dell’oggetto amato, ma il disprezzo dell’amante e l’umiliazione agli occhi di tutti. La morte della persona amata è per la fanciulla meno crudele dell’abbandono, che riassume tutte le sofferenze morali; perdita dell’amore, disprezzo della sua bellezza, preferenza accordata a una rivale, umiliazione pubblica, resa più dolorosa per il timore di vedere la rivale ridere del proprio dolore”.
Per una donna delusa nella sua passione l’omicidio appare come un prezzo modesto da pagare per la sua libertà, poiché la passione coinvolge la sua intera vita. Senza di essa, lei pensa, la vita sarebbe una lunga morte. Gli uomini sono meno coinvolti dall’amore. Possono andare in pezzi se le cose vanno male ma di solito si riprendono abbastanza presto e il delitto come via d’uscita non rientra nei loro calcoli.
Nel suo classico studio sulla criminalità femminile lo psichiatra Cesare Lombroso vede la donna criminale come un insieme di tutte le caratteristiche criminali maschili sommate ai peggiori difetti delle donne, per esempio l’astuzia, il rancore e l’inganno. Riteneva che le donne fossero più crudeli dell’uomo e portate ad essere vendicative, feroci e fredde. La donna omicida gioca con l’idea di disporre della sua vittima per ragioni che le sembrano giuste, ma possono non esserlo per un uomo. Se decide di uccidere è capace di giustificare l’atto a se stessa e inventare una propria moralità adatta a quel particolare caso.
Le motivazioni ed i percorsi del delitto femminile erano diversi fino a cinquant’anni fa, oggi somigliano sempre più a quelli maschili. Rabbia, vendetta, rivalità, invidia, odio, interesse. Il raptus femminile è figlio dell’emancipazione della donna.
Aumenta la criminalità femminile in generale, ma la proporzione rispetto ai crimini maschili è la stessa.
Dichiara Vittorino Andreoli: aumentano gli infanticidi. Per secoli la società ha tenuto le donne a freno. L’uomo era educato per essere un guerriero, lei per l’amore e per mettere al mondo dei figli. Ma è bastato dare alle donne una pistola, nei movimenti di resistenza durante l’ultima guerra mondiale o negli anni del terrorismo, per constatare quanto bene anche loro sapessero uccidere. Usano le armi come e meglio degli uomini. La parità sociale permette loro di difendersi e di scaricare l’aggressività con sistemi che erano di esclusiva competenza maschile.
Per molto tempo, sulla scia di Freud, si è ritenuto che la donna fosse incapace di uccidere. Si teorizzava una sorta di differenza biologica tra i due sessi. Il corpo femminile, predisposto per accogliere e dare la vita, non poteva essere in grado di toglierla. L’infanticidio, in particolare, era ritenuto impossibile: le donne che lo commettevano dovevano essere certamente folli, malate di mente, non-donne. Come se soltanto la perdita della femminilità e dell’istinto materno potesse giustificare un delitto del genere. Oggi le donne che abbandonano nei cassonetti i loro bambini sono giudicate dagli psichiatri tutt’altro che pazze e se lo fanno i motivi sono: perché il bambino dava fastidio, perché non era previsto, perché avrebbe complicato la vita.
I reati di violenza non sembrano essere facilmente conciliabili con il concetto tradizionale di comportamento femminile. l’assassinio e altri atti violenti contro le persone fisiche sembrano in completa antitesi con il delicato, riservato, protettivo ruolo del sesso femminile.
Le serial killers uccidono i bambini perché sono le vittime più vulnerabili. Ma ci sono donne che uccidono i propri figli e poi si suicidano perché odiano il marito e, incapaci di attaccarlo, uccidono i bambini per vendicarsi di lui.
Nel passato la criminalità femminile non ha mai costituito una significativa minaccia per l’ordine sociale.
Se l’amore e la famiglia erano l’ambito in cui la donna viveva e si affermava, amore e famiglia erano anche le sfere in cui si scatenavano le passioni omicide.
Le vittime delle donne omicide erano in netta maggioranza in rapporto di parentela con l’assassina oppure ne erano gli amanti. Gran parte delle vittime: fiduciosi e privi di sospetti, malati, ubriachi, addormentati, infermi, bambini.
Le donne uccidevano più frequentemente mariti, amanti e parenti vari mentre gli uomini assassinavano per lo più amici intimi ed estranei. Inoltre le donne criminali tendevano ad usare, nel consumare un omicidio, una minor forza fisica. Per esempio erano molto meno inclini dei maschi omicidi a colpire ripetutamente la vittima per provocarne la morte.
La maggior parte dei crimini commessi da donne sono crimini di letto. Hanno la loro origine, in molti casi, nell‘amore e nell’odio. Sono pianificati ed eseguiti con quell’implacabile e spietata crudeltà di cui le donne sono capaci così come sono capaci di amore e devozione immensi.
Alcune assassine sono state incolpate perché hanno parlato troppo durante gli interrogatori.
Ci sono infinite sfumature nel campo dei disturbi mentali tra i due estremi di salute e pazzia. La stessa donna può essere sana la mattina e insana la notte. Ci sono delle donne che hanno dei periodi di squilibrio e per il resto del tempo sono normali.
Per la nostra cultura, mentre l’uomo è vizioso, la donna è prevalentemente corruttrice.
La fragilità predispone la donna all’astuzia. La sua forza sta nella finzione e nel calcolo. Ciò ne fa una assassina con premeditazione che mette in opera i suoi misfatti dietro la maschera dell’innocenza, dell’amore e a volte perfino della pietà. La doppiezza è insita nella sua natura. E’ questo l’elemento affascinante nelle figure di donne criminali che la cronaca si compiace sempre di sottolineare.
Le donne hanno avuto maggiori possibilità di non vedere scoperti i loro crimini, commessi di solito in ambiente familiare. Probabilmente il numero di crimini commessi da loro è superiore a quello rivelato dalle statistiche ufficiali.
Negli ultimi anni sono stati moltissimi gli studi di stampo femminista sul delitto commesso dalle donne. L’accento è posto soprattutto sull’ambiente sociale e familiare della donna e sulle condizioni sociali e familiari svantaggiate che l’avrebbero portata al delitto.
Tradizionalmente le donne non sono educate all’aggressività bensì alla passività. Tutti i condizionamenti sociali fanno sì che le donne passino raramente all’atto delittuoso.
La sindrome premestruale che comporta depressione, irritazione e ostilità nella donna contribuisce secondo gli ultimi studi a rendere la donna più aggressiva. Nel 1953 in Usa in una prigione è stata condotta un’inchiesta: su cento donne che avevano commesso un crimine il 62% aveva commesso un crimine non premeditato nella settimana pre-mestruale a cui si aggiunge un altro 17% di atti criminali commessi durante le mestruazioni.
Solo recentemente certi criminologi hanno cominciato a considerare l’importanza dell’influenza delle strutture sociali sul crimine femminile. E fra queste influenze il denaro sembra essere il movente fondamentale degli omicidi commessi dalle donne.
In un’inchiesta compiuta negli Usa su 22 serial killer donne i moventi in ordine erano: i soldi, desiderio di vendetta, piacere di uccidere, sesso, droga.
Solo il 5% dei serial killers è di sesso femminile.In America le serial killers femmine rappresentano l’8% dei criminali ma le criminali donne americane rappresentano il 76% di tutte le serial killers del mondo. La serial killer uccide più di due persone intervallando gli omicidi. Quando la donna uccide più persone nello stesso breve periodo si parla di pluriomicide.
L’assassina passionale uccide di solito una volta sola.
Di solito le donne non sono spinte da motivi sessuali a differenza degli uomini. Uccidono in maniera più dolce, meno visibile, utilizzando veleni o medicinali. La violenza che accompagna i colpi di pugnale, lo strangolamento o la mutilazione sono propri degli uomini. Difficilmente le donne conservano parti del cadavere delle loro vittime come trofei.
Ci sono le “infermiere della morte” che uccidono pazienti anziani o in fase terminale e le “vedove nere” che si sbarazzano di diversi mariti o di amanti con il veleno.
Ma entrambi, uomini e donne, condividono uno stesso movente, quello del bisogno di esprimere un potere quasi divino di vita e di morte. Vogliono essere uguali a Dio.
Gli uomini uccidono di solito degli sconosciuti mentre le donne scelgono i membri della loro famiglia o parenti e amici. La vulnerabilità della vittima si riscontra anche nei bambini che sono tra le vittime preferite delle serial killers.
E’ il modo che hanno trovato di prendersi delle rivincite sulla vita, di esprimere la loro superiorità e di diventare celebri. Di solito queste assassine non hanno figli ma lo stesso accade ai serial killers. Non hanno una vita familiare stabile, vivono di solito sole e quando sono sposate la loro unione non funziona. Sono male inserite nella società anche se spesso non appare. Le serial killers appartengono alla categoria degli assassini organizzati. Premeditano i delitti che sono preparati con la più grande cura.
Uccidono in un luogo determinato, non affrontano grandi distanze come gli uomini.
I delitti non sono di solito scoperti subito. Le vittime sembrano morte per cause naturali e raramente si sospetta un avvelenamento. Se una donna uccide il marito si pensa a una crisi cardiaca magari perché l’uomo ha dei precedenti in famiglia o perché è anziano. Il primo crimine di solito passa inosservato. Solo dopo molte morti simili vengono fatti degli esami tossicologici e i cadaveri vengono riesumati.
Come l’uomo, la serial killer donna è generalmente bianca. Se l’uomo commette di solito il primo crimine prima dei trent’anni, la donna ne ha di solito trentuno.
Di intelligenza di solito superiore alla media. Introversa, si sente incompresa, tendenza a comportamenti psicotici. Di solito hanno avuto una vita mediocre e rapporti negativi all’interno della famiglia. Ci sono casi di abuso nella loro infanzia, che siano fisici, psicologici o sessuali.
L’altro fattore importante è l’esistenza di una vita fantasmatica. Il soggetto è una bambina trascurata o vittima di abusi che ha subito diversi conflitti nella sua infanzia senza esser capace di costruirsi e di utilizzare degli adeguati sistemi di difesa. Spesso queste bambine perdono uno o entrambi i genitori e sono costrette a vivere in un ambiente ostile. Queste frustrazioni, situazioni di stress e crisi di angoscia, unite a un’incapacità cronica a superarli possono condurre questa adolescente a isolarsi totalmente dalla società che percepisce come un’entità ostile.
Alcune scelgono di suicidarsi durante l’adolescenza piuttosto di conoscere una vita di solitudine e frustrazione. Ci sono fra queste criminali moltissimi casi di tentato suicidio che sono altrettante richieste di aiuto. Queste donne hanno uno scarso concetto di sé e si sentono scartate dalla società. Si parte dall’insoddisfazione della vita familiare e sociale per immaginare un mondo in cui sono padrone. Le loro energie sono canalizzate non verso obiettivi creativi, bensì verso idee di aggressione e dominio, sostituendosi così all’aggressore o al dominatore che le ha fatte soffrire.
La donna, a differenza dell’uomo, si rende meno visibile. Non provoca la polizia come molti serial killers fanno.

Esempi - Le serial killers donne hanno ucciso soprattutto per tre motivi:
denaro: (Belle Gunness; Louise Peete)
perversione sessuale (Erszébet Bathory)
desiderio di uccidere creature indifese come i bambini (Jeanne Weber; Marie Besnard)

Le donne pluriomicide invece possono avere ucciso:
per gelosia (Rina Fort)
per rabbia (assassina della Lomellina)
Nel libro: Erszébet Bathory: uccise seicentodieci donne (giovani vergini) per sadismo, per perversione sessuale
Marie de Brinvilliers: oltre ad alcuni malati dell’ospedale su cui sperimentò il veleno, fece uccidere i fratelli e il padre
Catherine Deshayes: avvelenava per soldi
Anna Zwanziger: uccideva uomini che voleva sposare o le mogli che ostacolavano i suoi progetti
Kate Bender: insieme alla famiglia uccideva per derubare
Belle Gunness: uccideva i pretendenti per derubarli
Jeanne Weber: uccideva i bambini che le venivano affidati
Louise Peete: uccideva per derubare
Marie Besnard: fu assolta dall’accusa di aver ucciso tredici parenti per ereditare
Martha Marek: uccise amante, marito e figlia per ereditare
Leonarda Cianciulli: uccise tre donne per derubarle o per superstizione
Caterina Fort: uccise la famiglia del suo amante per gelosia e rabbia

In genere:
Mary Ann Cotton: uccise diversi familiari;
Falling Christine (Usa 1980): uccise i bambini che le venivano affidati;
Gburek Tillie (Chicago 1914): uccide con il cibo vari mariti e i figli dei vicini con cui ha litigato;
Grills Caroline (Australia 1947): uccideva i parenti sia per denaro che per affermare il suo potere sulla vita e sulla morte. Uccideva somministrando tallio in tazze da té;
Archer Gilligan Amy (USA 1907): accusata di aver commesso diversi omicidi nel vicinato di cui uno solo fu provato e per cui fu condannata;
Hahn Anna Marie (Usa 1929): uccise diverse persone mentre le curava, forse per soldi;
Jegado Hélène (Francia 1849): uccise per il piacere di uccidere diversi familiari con il veleno;
Lehmann Christa (Germania 1944): uccise cinque persone tra amici e parenti per raptus di rabbia;
Lyles Anjette (USA 1955): uccise marito e altre persone per denaro ma anche una bambina con il veleno;
Allitt Beverley (USA 19907): pazza, uccise diversi bambini e malati all’ospedale in cui lavorava;
Puente Dorothea (Usa 1980): uccise diversi pensionati poveri a cui affittava le camere per derubarli e poi seppellirli in giardino;
Rendall Martha (Australia, ultima donna giustiziata in Australia, nel 1909): uccideva sadicamente i figli del marito versando acido nella loro gola;
Herman Lydia (Usa, 1860): uccise col veleno il primo marito e i suoi sei figli, il secondo marito e i suoi figli, sempre per denaro;
Tinning Marybeth (Usa 1972): uccise i suoi otto figli e uno adottato soffocandoli;
Toppan Jane (Usa, 1900): orfana, adottata, infermiera, uccise dozzine di pazienti con morfina;
Turner Lise Jane (Nuova Zelanda, 1980): uccise tre bambini due dei quali suoi e tentò di ucciderne altrettanti;
Wilson Catherine (GB, 1860): infermiera, uccise sette pazienti, il marito, poi fu scoperta mentre tentava di uccidere una donna presso cui lavorava e che aveva fatto testamento a suo favore;
Wilson Mary Elizabeth (GB, 1950): avvelenò il primo marito, un amante e altri due mariti;
Wuornos Aileen (Usa, 1989): prostituta, uccise diversi uomini con la pistola per derubarli. Poi li spogliava.


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