29 maggio 2010

Estratto del ns. ordinamento

Omicidio volontario o doloso – art 575 c.p., pena prevista da un minimo di 21 anni all’ergastolo, ove vi siano circostanze aggravanti;

Omicidio preterintenzionale (l’esito mortale supera le intenzioni del reo, che intendeva limitarsi ad intimidire la vittima, percuoterla o procurarle ferite) – art. 584 c.p., pena prevista da 10 a 18 anni;

Omicidio colposo (decesso per una responsabilità imputabile al reo, es: crolla la scuola, imputati ingegneri e costruttori) – art. 589 c.p., pena prevista da 6 mesi a 5 anni, minimo elevato ad 1 anno in caso di omicidio colposo commesso violando il codice della strada o le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro;

Infanticidio - art. 578 c.p – “la madre che cagiona la morte del neonato dopo il parto o del feto durante il parto (…) è punita con la reclusione da 4 a 12 anni. A coloro che concorrono al fatto (…) si applica la reclusione non inferiore ad anni 21. Tuttavia se essi hanno agito allo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita di un terzo (…).
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Uccidere un neonato, quindi, è molto meno grave: comporta pene detentive vistosamente inferiori rispetto all’omicidio volontario o preterintenzionale.
E’ meno grave quando a compiere l’infanticidio è la madre.
Se l’infanticidio è commesso dal padre, infatti, questi non beneficia delle vistose riduzioni di pena previste dal reato specifico, ma viene incriminato per le fattispecie di reato di cui sopra: “A coloro che concorrono al fatto (…) si applica la reclusione non inferiore ad anni 21”.
21 anni come minimo edittale, pena prevista per il reato di omicidio volontario. Alcune riduzioni di pena sono previste qualora l’infanticidio venga commesso in concorso con la madre, nell’intento di favorirla.
L’esclusione del padre dalla concessione delle attenuanti previste nello specifico articolo 578 riservato alla madre ha motivazioni psico-emotive, è strettamente legata alla gravidanza ed agli scompensi che ne derivano.
Nell’esaminare un estratto di normativa internazionale, infatti, la gravidanza ed il parto sembrano essere eventi destabilizzanti, traumatizzanti, patogeni, causa di un disturbo comportamentale temporaneo che può portare anche all’uccisione del neonato.
L’Italia proviene da una cultura all’interno della quale l’evento della gravidanza è sempre stato avvolto da contenuti nobili ed altamente positivi: la puerpera è giustamente orgogliosa del compito di procreazione che la Natura le ha riservato: è serena, radiosa, lo sguardo ed il sorriso illuminati da una nuova luce, l’amore e la dolce consapevolezza della vita che sta nascendo in lei sono i sentimenti che la guidano nel suo percorso.
Almeno così si credeva.
La normativa internazionale considera il puerperio alla stregua di una patologia estremamente aggressiva sotto il profilo psico-emotivo, tanto da rendere la donna che ne è vittima incapace di intendere e di volere qualora uccida il proprio figlio.
La cronaca e soprattutto la normativa, quindi, smentiscono drasticamente l’icona idilliaca della neomamma serena, radiosa, felice della missione naturale.
I 20 codici penali oggetto dell’analisi evidenziano alcune particolarità:
la gravidanza, il parto ed in genere lo stato puerperale vengono riconosciuti quali cause scatenanti di gravi alterazioni dello stato cognitivo, tali da stemperare la pena detentiva in occasione di una eventuale uccisione del neonato;
nella vita di una donna adulta sembra che nessun altro evento sia tanto patogeno e destabilizzante quanto lo stato puerperale, descritto come:
“influsso perturbatore” (Portogallo)
“equilibrio mentale turbato dal parto o dall’allattamento” (Inghilterra)
“influenza del puerperio” (Svizzera)
“stato di turbamento o di sgomento” (Grecia)
“sotto l’influenza dello stato puerperale” (Argentina, Brasile, Perù).

Nell’America Latina e in Portogallo, inoltre, compare il movente riconosciuto come attenuante, vale a dire la necessità di sopprimere un figlio del quale sarebbe difficile spiegare l’origine, che potrebbe pertanto compromettere l’onore di chi lo ha concepito:
“per nascondere il disonore” (Argentina, Bolivia, Paraguay, Ecuador, Cuba, Portogallo) “per evitare il disonore” (Colombia)
“per preservare l’onore” (Uruguay).
L’infanticidio per causa d’onore era riconosciuto anche in Spagna fino al 1995.

[Tabella tratta da: Fare e disfare ... dall'amore alla distruttività - Il figlicidio maternoAlessandra Bramante - ed. Aracne, 2005]

Il delitto d’onore è stato derubricato dall’ordinamento italiano con legge 442 del 5/8/1981.
Si trattava di un omicidio caratterizzato dalla motivazione soggettiva del reo, volta a salvaguardare una particolare forma di onore, o comunque di reputazione, con particolare riferimento all’ambito relazionale dei rapporti matrimoniali, nel quale pesano gli esiti estremi della pressione esercitata dalla reputazione sociale.
In Italia, sino al 1981, un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l'onore (es.: la moglie adultera o il suo amante, spesso entrambi) era sanzionato con pene attenuate rispetto all'analogo delitto di diverso movente, poiché veniva riconosciuto che l'offesa alla rispettabilità arrecata da una condotta "disonorevole" aveva valenza di gravissima provocazione e la riparazione dell'onore, anche violenta, godeva di comprensione sociale e giuridica.
Il dettato originario della norma:
Codice Penale, art. 587 (ante 1981)
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre l'illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.

Poi l’abrogazione; per un uomo, quindi, il tentativo di preservare la rispettabilità propria e della famiglia non costituisce una circostanza attenuante. La comprensione sociale e giuridica per la riparazione violenta dell’onore sono – giustamente, vogliamo aggiungere – venute meno; la macchia del delitto d’onore è stata cancellata dal nostro ordinamento in nome di un doveroso senso di civiltà.

In Portogallo e nei maggiori Paesi dell’America Latina invece, ancora oggi, per una donna l’onore può essere difeso anche attraverso l’infanticidio, usufruendo pertanto di pene più miti rispetto all’omicidio commesso per qualsiasi altro movente.

Nella normativa italiana non compare il movente dell’onore da salvaguardare, ma rimangono le sanzioni ridotte rispetto all’omicidio volontario e/o preterintenzionale.
Inoltre, anche la sindrome premestruale viene identificata quale attenuante per assolvere l’assassina dall’accusa di omicidio volontario.
In Inghilterra la 29enne Sandie Craddock “a causa dello squilibrio ormonale legato alla sindrome pre-mestruale” ha ucciso a coltellate un suo collega di lavoro. Il giudice ha identificato come motivazione dell’aggressione la sindrome premestruale, pertanto ha deciso di derubricare l’accusa da omicidio volontario ad omicidio colposo.
Sandie quindi non ha avuto una condanna detentiva, ma è stata solo condannata con la condizionale e le è stato imposto di curarsi.
La Craddock infatti “in quei giorni” avrebbe anche in precedenza più volte effettuato aggressioni violente a uomini e donne, guadagnandosi circa 30 denunce:

http://www.tartaportal.it/forums/58609-donna-uccide-collega-assolta-dal-giudice-sindrome-premestruale.html

http://www.straightdope.com/columns/read/2594/can-a-womans-menstrual-cycle-make-her-more-susceptible-to-the-effects-of-alcohol

http://www.cobraf.com/forum/coolpost.php?reply_id=233736

http://www.nytimes.com/1982/03/07/magazine/dispelling-menstrual-myths.html?sec=technology&spon=&pagewanted=5

In Inghilterra, quindi, oltre alle attenuanti emotive per l’uccisione di figli neonati, viene riconosciuta l’attenuante anche per l’accoltellamento di soggetti adulti estranei alla famiglia.
Con la sindrome premestruale le donne hanno ogni mese intere settimane di "giustificazioni", poi 5/6 giorni di sindrome mestruale, occasionalmente anche la sindrome puerperale...
Copertura a vita.
Nel Regno Unito è stato creato un pericoloso precedente a causa del quale la tranquillità dell’intera popolazione potrebbe essere messa in discussione.
Prima di essere giudicata da un magistrato donna o di essere operata da un chirurgo donna, una persona dovrebbe informarsi se per caso ha il ciclo o sta per averlo?

A questo punto si rendono necessarie alcune riflessioni.
Dando per scontato che legislatori e giuristi di mezzo mondo non siano preda di follia collettiva, è presumibile che le attenuanti universalmente riconosciute in caso di omicidio per mano femminile siano fondate su solide e comprovate basi scientifiche.
Fior di ricerche dovrebbero avvalorare la teoria secondo la quale lo scompenso ormonale dovuto al periodo premestruale ed al periodo puerperale, siano causa o possano esserlo di comportamenti devianti, irrazionali, incontenibili.
La persona che agisce sotto l’influsso destabilizzante dello scompenso ormonale sarebbe quindi impossibilitata a controllare il proprio agire, tanto da avere diritto a considerevoli attenuanti in caso di soppressione di una vita umana.
Non conoscendo nei dettagli la letteratura scientifica dalla quale tale convinzione prende vita, dobbiamo credere che esista e sia abbondantemente dimostrata, visto l’innegabile influsso su decine e decine di Codici Penali.

Sembra, però, una forte delegittimazione delle capacità, dell’autodeterminazione ed in generale delle caratteristiche psico-emotive della donna.
Appare curioso che la figura femminile venga tratteggiata dalla normativa internazionale come una sorta di incapace, categoria protetta in quanto minus habens, irresponsabile delle proprie azioni.
Non è così, non può essere così.
Eserciti di donne emancipate dovrebbero contestare la chiave di lettura giudiziaria che può definirle “incapaci di intendere e di volere” quando hanno il ciclo mestruale, quando sono in attesa di averlo, quando partoriscono, quando sono in attesa di partorire, dopo avere partorito.
In pratica tutta la vita di una donna sessualmente matura, dalla pubertà alla menopausa.
Si tratta di una chiave di lettura giudiziaria in aperto contrasto con le rivendicazioni dell’intero universo femminile.
Quote rosa e sacrosante rivendicazioni di pari opportunità, che fine farebbero secondo i codici penali?
Ad una persona fragile ed umorale, talmente influenzabile dagli sbalzi ormonali da appartenere ad una categoria a rischio, soggetta a temporanee ed incontrollabili incapacità di intendere e di volere durante tutto l’arco della propria maturità, chi affiderebbe le chiavi della politica, dell’economia, dell’amministrazione pubblica, della medicina, della magistratura, della polizia o dell’esercito, …
Non è così, non può essere così.
Per quale motivo la sindrome premestruale non può indurre in altri errori che non siano l’omicidio? Ogni donna sarebbe a rischio di comportamenti asociali ed incontrollabili in qualunque istante della propria vita, anche al momento di prendere decisioni di cruciale importanza.
Non è così, non può essere così.
Da Emma Marcegaglia a Conchita De Gregorio, da Giulia Buongiorno a Simonetta Matone, da Milena Gabbanelli a Renata Polverini, migliaia di donne dimostrano ogni giorno il proprio valore, dimostrano di sapersi guadagnare uno spazio nell’imprenditoria, nel giornalismo tv e della carta stampata, nella politica, nella magistratura ed in molti altri settori storicamente maschili.
Ma se uccide un bambino, la donna forte, decisa, intelligente, realizzata ed emancipata viene suo malgrado protetta nel bozzolo di una eterna ed irresponsabile incapacità di intendere e di volere.
Come mai nessuna voce femminile, anche autorevole, si è mai levata ad evidenziare questa incongruenza?
Può essere lecita una doppia veste, a seconda della convenienza del momento?
Logica, forte e perfettamente lucida quando reclama le quote rosa; fragile, uterina ed incapace quando deve rispondere alla giustizia.
Non può essere nemmeno così.

FN


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