7 febbraio 2009

Nonostante l'evidenza dei fatti dimostri che la verità è un'altra si continua a parlare di violenza domestica unicamente come violenza degli uomini sulle donne.
In realtà diversi studi dimostrano che tra le mura domestiche a essere più violente sono le donne, o almeno lo sono altrettanto degli uomini, anche contro i figli. (ne abbiamo parlato qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua, qua e qua)
Qualche mese fa L'Adnkronos riportava nella sua sezione Salute un pezzo sull'argomento, che riproponiamo:
(http://www.adnkronos.com/IGN/Cronaca/?id=3.0.3331236589)

Mamme assassine in aumento in Italia. Dal 2000 al 2007 i casi di madri killer nel nostro Paese sono stati 145: in media 20,7 all'anno. Un trend di nuovo in crescita, che dopo la riduzione registrata negli anni '80 e '90 è tornato ai livelli degli anni '70 (20,5 casi ogni anno, 205 in tutto). Il triste primato dei figlicidi spetta al Nord Italia, che conta quasi la metà degli episodi segnalati in tutta la Penisola. E in particolare, il record negativo va alla Lombardia e soprattutto a Milano. I numeri del dramma sono stati fotografati oggi all'ospedale materno-infantile Macedonio Melloni del capoluogo lombardo. L'azienda ospedaliera Fatebenefratelli, cui fa capo il presidio di via Melloni, con il suo Centro depressione donna ha stretto infatti un'alleanza ad hoc con l'assessorato comunale alla Salute. Opuscoli, incontri e progetti 'in fieri' contro l'emergenza.

Uno studio condotto da Alessandra Bramante, criminologa e psicologa del Centro depressione donna del Fatebenefratelli, [Fare e disfare Dall'amore alla distruttività. Il figlicidio materno Aracne Editrice Giugno 2005] calcola che dal 1958 al 2007 i casi di mamme assassine sono stati in Italia 814, per un totale di 971 baby-vittime. Nel dettaglio, degli 814 episodi 211 sono neonaticidi (bebè ucciso entro il primo giorno di vita) e 603 i figlicidi (dal primo giorno di vita in poi). La madre che si scaglia sul figlio appena nato lo fa soprattutto soffocandolo, mentre per il figlicidio prevale la modalità 'precipitazione-defenestramento'. Il 48% dei figlicidi e il 18% dei neonaticidi (quasi uno su 5) avvengono nel Settentrione, e i più colpiti sono i bimbi da zero a 6 anni. Nel 1958-59 i casi sono stati 40 (in media 20 all'anno), negli anni '60 sono stati 238 (23,8 ogni anno) e negli anni '70 in tutto 205 (20,5 l'anno); si scende poi ai 113 casi degli anni '80 (11,3 all'anno) e ai 73 degli anni '90 (7,3), per poi 'rimbalzare' ai livelli di trent'anni fa con il dato dei primi 7 anni del Duemila.

"E per finire il decennio mancano ancora tre anni", fa notare Bramante. Un periodo in cui il numero di queste tragedie può salire ancora. Ma cosa spinge una madre a uccidere il figlio? "Nel 38,7% dei casi una malattia psichiatrica - spiega Bramante, che al tema ha dedicato il suo studio di dottorato - nel 10,4% una conflittualità di vario tipo, nel 7,1% un maltrattamento, nel 6,1% una situazione di abbandono o trascuratezza". E ancora: a volte la mamma è spinta da 'pietatis causa', ossia da un intento simile a quello che anima l'eutanasia. Infine, "i problemi economici 'pesano' per l'1,8% del totale". L'identikit schizzato dagli esperti suggerisce infatti che figlicidi e neonaticidi per mano materna prevalgono nelle famiglie con un buon livello di istruzione e di reddito. "Soldi e cultura non c'entrano - commenta l'assessore milanese alla Salute, Giampaolo Landi di Chiavenna - Come pure non bisogna puntare il dito contro la cosiddetta società globalizzata e consumistica, se è vero che i numeri attuali sono pari a quelli degli anni '70", dice.

"Insonnia, deliri, allucinazioni, precedenti di psicosi in famiglia e morte di un proprio caro". Questi, elenca Bramante, i principali fattori di rischio che possono sfociare in cronaca nera. "L'arma chiave si chiama prevenzione - afferma Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Salute mentale del Fatebenefratelli - perché il 'fulmine a ciel sereno' non esiste". Esistono piuttosto segnali di disagio da intercettare, aggiunge, campanelli d'allarme fra cui spicca la depressione post-partum: "Più del 10% delle neomamme presenta un disturbo depressivo - avverte il medico - e lo 0,1% sviluppa una psicosi vera e propria". E cosa rende la Lombardia e Milano aree più vulnerabili? "Nella nostra città il 60,1% delle donne lavora e il tasso di natalità è complessivamente buono (1,4 figli per donna, contro una media nazionale di 1,34) - ricorda lo specialista - Essere madri e lavoratrici nello stesso tempo è possibile, ma in una società in cui la famiglia allargata si è persa e i nonni 'baby-sitter' sono un lusso per pochi, urgono politiche di supporto alle giovani coppie". La certezza di una casa, asili, nidi aziendali, un lavoro flessibile, ma sicuro: "Tutti elementi indispensabili a uno Stato moderno, su cui mi impegno a lavorare in prima persona", promette Landi.



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