11 aprile 2008

Quattordicenne soffocato a Modena: il Dna incastra la madre

Quattordicenne soffocato a Modena: il Dna incastra la madre

LIMIDI DI SOLIERA (MODENA), 16 OTTOBRE 2001 -Non ci fu alcuna rapina la notte del 12 settembre nella villa della famiglia Nadalini a Limidi di Soliera, nella campagna modenese: e a uccidere Matteo, 14 anni, malato di autismo, soffocato con un sacchetto di nailon, fu sua madre, Paola Mantovani, sottoposta dai carabinieri a fermo di pg con l'accusa di omicidio premeditato, con l'aggravante dell'efferatezza del delitto: perchè il bambino, prima di morire, «lotto' e soffrì».
Per gli investigatori, così andarono le cose. E nel pomeriggio, il Procuratore aggiunto di Modena Manfredi Luongo, affiancato dagli ufficiali dei carabinieri, ha ripercorso i riscontri e le prove raccolte in oltre un mese di indagini: la rapina fu una messa in scena e la donna, «a carico della quale ci sono indizi corposi, potrebbe anche essere stata aiutata».
Però non dal marito che, ha aggiunto ancora il magistrato, «non è indagato». Decisivi per ricostruire ciò che avvenne quella sera, sono stati i risultati della consulenza biologica-dattiloscopica dei carabinieri del Ris (Raggruppamento investigazioni scientifiche) del colonnello Luciano Garofano, che era al fianco di Luongo, insieme al colonnello Giuseppe Governale dei carabinieri di Modena.
«Abbiamo trovato tracce biologiche significative della madre in alcuni reperti», ha spiegato Garofano. Tracce che smontano il racconto della mamma di Matteo, perchè «incompatibili con la versione resa dalla donna», ha precisato il Procuratore. In particolare il Dna è stato rintracciato, ricavandolo da tracce di saliva, sul nastro adesivo che fu usato per legare al collo della giovane vittima il sacchetto di nailon: un nastro - accertarono i carabinieri - che infatti fu strappato con i denti. La stessa macchia indelebile è stata trovata sul nastro con la quale la donna fu trovata legata dai primi soccorritori dentro la piscina: peccato che, sempre secondo il racconto della madre della Mantovani, a usare il nastro sarebbero stati i rapinatori.
Ma tracce «biologiche» - probabilmente sudore - i militari del Ris le hanno scovate pure dentro ai guanti che, ancora nella versione della donna, erano stati usati sempre dai rapinatori. Invece, per i carabinieri, tutte le tracce biologiche, o quasi tutte, frammenti di unghie, capelli, saliva, perchè da tutto questo può essere spremuto Dna, portano a Paola Mantovani. Quasi tutti, perchè un dubbio resta: che qualcuno abbia aiutato la donna.
Ombra lasciata dalle parole del Procuratore e da quelle di Garofano: «Non escludo sviluppi interessanti - ha detto - perchè abbiamo una serie di reperti molto interessanti». E alla domanda diretta dei cronisti - Avete trovato tracce biologiche di qualcun altro? - i dubbi non vengono soffiati via: «Non abbiamo finito». E su questo le indagini stanno continuando. Davanti a una tale mole di riscontri, la donna non ha risposto.
I carabinieri l'avevano prelevata da casa intorno alle 21,30 di ieri sera e, insieme ad altri familiari, avevano iniziato a sentirla: poi, alle 2 di notte, l'interrogatorio era stato interrotto perchè la donna, da persona informata dei fatti, avrebbe dovuto essere ascoltata come indagata. Ma, dopo il colloquio con l'avvocato, Paola Mantovani non ha più detto nulla. E già domani protrebbe esserci l' udienza davanti al Gip per la convalida del fermo.
Nella gente che li conosceva, anche se i dubbi nacquero subito - «strana, incredibile rapina» commentò Luongo - il colpo di scena è notevole: «L'ultima cosa cui credo è che sono stati loro», ha detto nel pomeriggio un uomo che conosce la famiglia Nadalini da trent' anni e che, pure «l'altra sera aveva parlato con Paola, trovandola distrutta». E distrutta la donna era apparsa anche al funerale del figlio, quando restò a lungo con il capo abbandonato sulla spalla del marito che l' abbracciava.
Ma anche fra i vicini c'era chi aveva sospetti: tanto che, qualcuno, ieri sera, ha scritto con un dito sulla polvere di una delle macchine dei carabinieri che hanno prelevato la donna: «Sei stata tu». Perchè se per alcuni quella «era una famiglia felice», secondo altri, «negli ultimi tempi i problemi con il bambino erano aumentati, forse tanto da rendere la vita un inferno».

fonte:

18 ottobre 2001
http://quotidianonet.ilsole24ore.com/2001/10/18/2640376-MODENA-Arresti-domiciliari-per-la-madre-killer.shtml

Arresti domiciliari per la madre killer

Paola Mantovani ha lasciato il carcere di Modena nel pomeriggio e, sotto scorta dei carabinieri, ha raggiunto Poggio Rusco. Quando è arrivata a casa degli zii la donna si è accorta della presenza di alcuni fotografi e teleoperatori e si è coperta il volto per non essere ripresa. Poco più tardi nella casa è entrato un medico. Anche in carcere, secondo indiscrezioni, la donna aveva avuto momenti di sconforto e di crisi. La madre di Matteo, a quanto si è appreso, anche quando è stata ascoltata dal gip ha respinto le accuse ed ha confermato la versione iniziale dell' aggressione a scopo di rapina da parte di due stranieri.
26 settembre 2006
Paola Mantovani scoppia a piangere. Il marito Roberto Nadalini la consola sui gradoni del Palazzo di giustizia di Modena. Un abbraccio forte, nel giorno dell’ennesima puntata di un giallo che ancora non ha avuto una spiegazione. Sono passati oltre 5 anni dall’efferato omicidio del piccolo Matteo Nadalini, il figlio della coppia, trovato morto soffocato, nella sua cameretta della villa di Limidi di Soliera, il 12 settembre del 2001.
Per l’omicidio è stata accusata la madre, rinviata a giudizio quasi due anni fa in base ai rilievi dei Ris di Parma, che rinvennero tracce del Dna della donna sui guanti trovati nella piscina, al termine di quella che la donna denunciò come una rapina finita tragicamente, e sul nastro adesivo usato per soffocare il ragazzo, che soffriva di disturbi psichici.
In attesa della prima udienza del processo con rito abbreviato, fissata per il 9 ottobre, ieri davanti al gup Alberto Ziroldi si è svolto l’incidente probatorio della terza perizia ordinata lo scorso gennaio, dopo che nel dicembre del 2005 lo stesso gup aveva dichiarato inutilizzabili per il processo gli elementi emersi dalla consulenza dei Ris, accogliendo l’eccezione presentata dai legali della donna, Verena Corradini e e Giovan Battista Chiossi.
Ieri mattina gli esperti hanno illustrato alle parti le loro conclusioni sul supplemento di prova genetica effettuato sui reperti raccolti nella villetta di via Don Sturzo, compresi alcuni oggetti che non erano stati valutati in un primo momento: si tratta dei genetisti Ilaria Boschi e Vincenzo Pascali, dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma e, in veste di consulente della pubblica accusa, del maggiore Marco Pizzamiglio dei Ris di Parma.
"I periti hanno riferito di aver trovato tracce genetico di tipo misto — ha spiegato al termine dell’udienza l’avvocato Chiossi — non attribuibili però a nessuno dei protagonisti della vicenda. Si tratta di valutazioni scientifiche, ma possiamo dire che non sono emersi nuovi elementi a carico della nostra assistita. Ora attendiamo la prima udienza del prossimo 9 ottobre".
Di tono diverso il commento della Procura, secondo cui le perizie non sono così definitive, ma semplicemente interpretabili e quindi si aspetta con serenità l’inizio del processo. All’udienza, come detto, era presente anche Paola Mantovani, arrivata col marito dal Veneto, dove i due si sono trasferiti da tempo lasciando Limidi. "Preferisco non dire nulla, chiedete ai miei avvocati", si è limitata a dire la donna in lacrime al termine dell’udienza, cercando poi confronto fra le braccia del marito, che da sempre ha difeso la moglie dalle accuse.Quella di ieri è stata dunque l’ultima tappa di un lungo iter predibattimentale, che ha visto susseguirsi i colpi di scena, dopo l’arresto di Paola Mantovani del 15 settembre 2001.
La terza perizia era stata decisa lo scorso gennaio, alla ripresa dell'udienza preliminare.
Il primo stop si era avuto agli inizi del 2004, quando il gup aveva interpellato la Corte costituzionale, per un’eccezione presentata dai legali della donna. In sostanza, gli avvocati ritenevano che non si potessero utilizzare alcune perizie e intercettazioni che erano state fatte prima che la donna fosse ufficialmente indagata.
Nel luglio 2005 la Consulta ha rigettato l'eccezione, e quindi l'udienza ha potuto riprendere lo scorso dicembre, quando però il gup Ziroldi ha deciso che non sarebbe stato possibile utilizzare nel processo le perizie del Ris e gli elementi raccolti prima che Paola Mantovani fosse ufficialmente indagata con avviso di garanzia: proprio su alcuni di quegli elementi (come le tracce di saliva trovate sul nastro adesivo con cui era stata legata la testa del ragazzo) si basava l’ipotesi accusatoria.

link alla notizia:
http://quotidianonet.ilsole24ore.com/2006/09/26/5437747-OMICIDIO-NADALINI.shtml


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