8 ottobre 2014

VIOLENZA FEMMINILE NELLA PUBBLICITA'

di Fabio Nestola

Nel corso del lavoro la ricerca sulla carta stampata ha generato una maggiore attenzione anche verso altre forme di pubblicità: l’esempio più evidente è costituito dagli spot televisivi.
Il divario fra l’utilizzo dell’uomo e della donna in tv si allarga, l’emancipazione femminile non si concretizza solo attraverso la realizzazione professionale e l’indipendenza economica, ma esaspera i peggiori modelli maschili spingendosi verso una spirale di aggressività e di violenza.
Gli esempi di pubblicità televisiva che seguono sono limitati ad una sintetica descrizione, non essendo previsto per il libro un allegato multimediale.

Spot BREIL – orologi
Una coppia sul sedile posteriore di una limousine con autista; mentre la vettura viaggia i due si spogliano reciprocamente scambiandosi sguardi ammiccanti, fino a quando lui tenta di toglierle l’orologio da polso. La reazione della donna diventa violenta: lo spot termina con l’immagine dell’uomo che viene scaraventato fuori dalla vettura in corsa. Lei recita: “Toglietemi tutto, ma non il mio Breil”.
Negli anni diverse versioni, con la costante della donna violenta che distrugge l’auto con una mazza da golf, distrugge la casa con una gru magnetica, etc.

Spot VIVIDENT – chewingum
Un portalettere, durante il suo giro di consegne, viene ripetutamente adescato da diverse donne che lo invitano a pranzo. Dopo ogni “pasto” lui usa il chewingum per rinfrescare l’alito. Il messaggio lascia apertamente intendere che l’invito a pranzo nasconda in realtà un incontro erotico: le donne infatti ricalcano lo stereotipo della dominante “mangiatrice di uomini” e trascinano in casa il portalettere con un’aggressività densa di sottintesi, mentre l’attore scelto per interpretare il portalettere è un soggetto paffutello, con capelli radi, dall’aspetto ingenuo e bonariamente rassicurante.
L’esatto contrario dello stereotipo di sciupafemmine, più simile a Gerry Scotti che non ad Antonio Banderas.
Tornato a casa anche la moglie lo invita a “consumare un pasto”, ma il portalettere si accorge di avere terminato il pacchetto di chewingum.
Lo spot termina con un gran ceffone della signora che ha intuito i tradimenti.

Spot SCALDASONNO IMETEC – termocoperte
Una coppia di mezza età è a letto, lui lamenta di avere freddo e si avvicina a lei che, indignata, lo picchia. Lui si alza, posiziona il prodotto reclamizzato sul letto e, finalmente, può dormire al caldo con un’espressione soddisfatta ma anche con un vistoso occhio tumefatto.

Spot OPEL – automobili
Una ragazza acquista la Opel Corsa e la mostra orgogliosa a quello che presumibilmente è il suo compagno. I due ridono, si abbracciano, lei è entusiasta e lui apprezza i particolari della vettura, fino a quando, con una pratica normalmente in uso nelle officine meccaniche, saggia con una pedata la ruota anteriore del prodotto reclamizzato. Lo Spot termina con la scena di lei che, infuriata, mette in fuga il ragazzo a calci e pugni.

Spot AMICA – rotocalco femminile
Una coppia è a letto, lei prima di dormire sta leggendo il prodotto reclamizzato. Lui si avvicina con un sorriso e la accarezza chiamandola “amore…”, con evidente desiderio di reciproche tenerezze. Lei lo guarda con espressione infastidita ed altezzosa, quindi dal rotocalco esce una mano che schiaffeggia l’uomo.
La donna riprende la lettura con espressione soddisfatta.

Spot CAMPARI – liquori
Una coppia entra in un ristorante. Lui si massaggia la spalla estasiato, memore del recente incontro erotico durante il quale lei ha lasciato sulla sua spalla una vistosa cicatrice con quattro graffi. Un’altra donna si avvicina, gli lancia sul viso il contenuto di un bicchiere e con prepotenza prende la compagna di lui e la porta al proprio tavolo, rivendicandone con violenza il “possesso”.
Anche lei esibisce la stessa cicatrice sulla spalla, testimonianza evidente dell’amore passionale e bisex della donna contesa.
Altro spot della stessa azienda, con la donna che sceglie gli uomini facendoli duellare all’arma bianca. Rifiuta un uomo appena sfregiato nel combattimento e si allontana in limousine con autista, anch’egli sfregiato servitore.

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Negli ultimi tempi si assiste ad una costante escalation di messaggi nei quali la donna ha un comportamento aggressivo, sprezzante, prepotente, violento.
Sono rappresentate diverse tipologie: la giovane ragazza come la donna di mezza età, la donna snella come la donna sovrappeso, la donna in carriera come la casalinga.
Un dato preoccupante: se una campagna pubblicitaria non funzionasse, verrebbe rapidamente soppressa per lasciare spazio ad altri messaggi più redditizi; gli esempi sopracitati sono invece andati in onda per mesi, con centinaia di passaggi su tutte le reti principali ed in diverse fasce orarie.
Al di la delle emergenti velleità “artistiche”, il mestiere del pubblicitario rimane essenzialmente quello di far si che l’azienda committente incrementi il fatturato, ricavando quindi degli utili dall’investimento iniziale.
Ergo: la violenza femminile funziona, fa immedesimare il target nei modelli proposti, fa vendere.

Di seguito alcune considerazioni condite da molte domande che mi vedo costretto a condividere con chi legge, poiché non sono in grado di trovare risposte.
Dando per scontato che non tutte le donne, fortunatamente, si riconoscono nelle immagini illustrate, mi preme sottolineare come la perplessità sia rivolta non alla donna reale ma al modello di donna che viene proposto.
E’ lecito chiedersi perché la donna, per essere rappresentata nella sua emancipazione, debba sfoggiare violenza.
Per avere un’immagine positiva,“realizzata”, la donna deve picchiare?
I primordiali modelli di prevaricazione maschile, unanimemente condannati come estremamente negativi, diventano positivi se adottati dal genere femminile?
La violenza della donna sull’uomo è diventata un modello da imitare, quindi da proporre per invogliare all’acquisto?
A ruoli invertititi, gli stessi messaggi sarebbero stati prodotti?
E, soprattutto, avrebbero avuto spazio nel nostro Paese senza sollevare un vespaio?
Per quali motivi il viso tumefatto di una donna fa indignare, mentre il viso tumefatto di un uomo fa vendere?
L’antica gag della torta in faccia - o anche peggio, molto peggio - deve oggi sottostare alla regola non scritta secondo la quale, per essere politically correct, è applicabile solo al genere maschile?
Violenza fisica, violenza psicologica, derisioni ed umiliazioni non sono proponibili quando hanno come oggetto la donna: oltre alla grave offesa all’intero genere femminile è da considerare l’impatto negativo sui minori, che non dovrebbero ricevere alcun input di violenza “positivizzata”, alcun messaggio nel quale il comportamento violento viene esaltato e non condannato.
Gli episodi di violenza diventano stranamente proponibili quando le vittime sono gli uomini, anche se i minori continuano ad essere incolpevoli spettatori ed inconsapevoli spugne di messaggi.
Milioni di bambine e bambini, attraverso telegiornali, films, cartoons e pubblicità vengono bombardati da modelli di biasimevole (ed infatti biasimata) violenza al maschile, e da altrettanti modelli di positiva (ed esaltata) violenza al femminile. I messaggi violenti sono negativi comunque, ma almeno nel caso della violenza maschile i minori assistono ad una costante e corale condanna dei comportamenti aggressivi.
Che la donna non si picchia nemmeno con un fiore si impara presto, già sui banchi delle elementari.
L’immaginario collettivo percepisce come gravemente condannabile qualsiasi prevaricazione maschile; ciò non garantisce che non vengano violati i principi, ma è basilare che tali principi ci siano e siano radicati nella percezione comune di equità, democrazia, correttezza, giustizia, parità tra i generi.
Se poi qualcuno, nonostante tutto, continua ad adottare comportamenti violenti nei confronti della donna, trasgredisce sapendo di trasgredire.
E’ grave che, invece, la percezione comune stia evolvendo nella pericolosa direzione di non considerare negativa la violenza femminile. Le nuove generazioni stanno ricevendo un input devastante secondo il quale donna è bello sempre, anche quando picchia, quando insulta, quando aggredisce. Anzi, donna che aggredisce è ancora più bello.
Una bimba che oggi cresce con il modello Campari, Breil e simili, da adolescente e da adulta avrà difficoltà a non riconoscersi nei modelli di riferimento della sua infanzia, col risultato che se commetterà atti di violenza nei confronti del proprio compagno lo farà per affermare la propria autonomia, per ribadire la propria emancipazione, per apparire libera, evoluta, moderna. Come le è stato insegnato, senza la connotazione di negatività che, a ruoli invertiti, viene inculcata ai suoi coetanei di sesso maschile.
La cronaca nera, già oggi, conferma l’incremento della violenza femminile, individuale o in branco, soprattutto ad opera di adolescenti. Un fenomeno assolutamente sconosciuto alle generazioni precedenti.
Al cinema ed in tv - piaccia o meno, grandi strumenti di orientamento del costume - gli uomini che usano violenza alle donne sono linciati dalla folla, arrestati, condannati, emarginati dal tessuto sociale e persino dalla popolazione carceraria; le donne violente della pubblicità invece cenano in lussuosi ristoranti, viaggiano in limousine con autista, vestono grandi firme ed hanno schiere di spasimanti ai loro piedi.

Ultima, ma non per gravità, la campagna di sensibilizzazione sul problema delle donne che muoiono di parto, targata Comunicazione Sociale (2003).
Un’animazione rappresenta alcuni spermatozoi alla ricerca dell’ovulo da fecondare.
Uno di questi diventa particolarmente attivo ed individua l’obiettivo fertile, mentre gli altri si allontanano.
Lo spermatozoo, rimasto solo, si accinge alla fecondazione: si proietta verso l’ovulo con estrema violenza, tanto da farlo esplodere.

Un messaggio di terrificante condanna che imputa esplicitamente alla violenza dell’intero genere maschile il dramma dei decessi da parto.
Anzi, il decesso da parto viene estremizzato e storpiato in decesso da coito, visto che il seme maschile distrugge l’ovulo senza riuscire a fecondarlo. L’atto stesso del concepimento è spogliato da ogni contenuto: non c’è il primordiale istinto di conservazione della specie, non c’è religioso spirito procreativo, non c’è laica progettualità genitoriale, non c’è amore nella coppia, complicità, affetto, niente…
Solo violenza che porta alla distruzione.
Il messaggio che ne scaturisce è terrorismo allo stato puro.
Attente, donne: difendetevi dagli uomini, geneticamente strutturati per farvi del male, per causare dolore e morte. Anche ciò che può sembrare amore in realtà tende ad uccidervi; tutto è stupro, violenza, sopraffazione…
Con quali basi scientifiche?
Guardando oltre il terrorismo psicologico che persevera nello stereotipo donna/vittima - uomo/carnefice, quali certezze indicano l’atto del concepimento come causa delle morti da parto?
Non hanno alcuna responsabilità la disinformazione, le condizioni igieniche disastrose e la mancata prevenzione?
Non hanno alcuna responsabilità la carenza di medicinali, di strutture sanitarie e dei relativi operatori?
Senza scavare troppo, senza sollevare troppi coperchi, ecco la soluzione a portata di mano: é più facile creare uno spot terroristico per addossare ogni colpa al genere maschile, tout court.
Tanto è di moda.
Cosa stiamo insegnando alle generazioni che crescono con questa comunicazione sociale?


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