«I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un'arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni», avverte Carmen Pugliese, pm del pool della Procura specializzato in reati sessuali e familiari, scorrendo i dati che vedono questo tipo di violenza aumentare in maniera significativa. Nella Bergamasca si è passati dai 278 casi del 2006 ai 306 del 2007, fino ai 382 del 2008, in pratica più di una denuncia al giorno. E se è vero che si riscontra una sempre più diffusa propensione da parte di padri e mariti ad alzare le mani, è altrettanto appurato che molte volte le versioni fornite dalle presunte vittime (quasi sempre donne) sono gonfiate ad arte. «Solo in due casi su 10 si tratta di maltrattamenti veri - analizza il pm Pugliese -. Il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione. "Se non mi concedi tot benefici, io ti denuncio", è la minaccia che fanno alcune mogli. Tanto che, una volta ottenuto quello che volevano, tornano in Procura a chiedere di ritirare la denuncia. Non sanno che nel frattempo noi abbiamo speso tempo ed energie per indagare. L'impressione è che alcune mogli tendano a usare pm e polizia giudiziaria come strumento per perseguire i propri interessi economici in fase di separazione».
Poche, in percentuale, le inchieste che sfociano in condanna. «Molte volte - rivela il pm Pugliese - siamo noi stessi a chiedere l'archiviazione. In altri casi, invece, si arriva a un processo dove la presunta vittima ridimensiona il proprio racconto. È successo anche che qualche ex moglie sia finita indagata per calunnia».
Sono per lo più italiane (mogli di italiani e anche di stranieri) le presunte vittime che si rivolgono alla Procura. Più limitata, invece, la percentuale dei genitori (il più delle volte anziani) presi a botte dai figli. Anche papà e mamme tendono a minimizzare i fatti dopo la denuncia, ma in questo caso lo fanno per amore e non per denaro.
Carmen Pugliese una tiratina d'orecchi la riserva anche alle associazioni che operano a tutela delle donne: «Non fanno l'operazione di filtro che dovrebbero fare: incitano le assistite a denunciare, ma poi si disinteressano del percorso giudiziario, di verificare come finirà la vicenda. Mi sembra una difesa indiscriminata della tutela della donna che viene a denunciare i maltrattamenti, senza mettere in conto che questa donna potrebbe sempre cambiare versione».
Ovvio che molte volte le violenze si verificano davvero e in modo pesante: «Da noi arrivano donne col volto tumefatto e in alcuni casi contro i mariti emettiamo misure cautelari». Ma talvolta a patire le conseguenze di denunce enfatizzate sono uomini che cascano dalle nuvole. Come quel bergamasco denunciato dalla ex moglie dell'Est che s'era rifugiata in una comunità protetta. Lei lo aveva dipinto come una sorta di persecutore, lui si presentò in Procura a raccontare che il rapporto non era poi così compromesso: i due continuavano a vedersi ogni fine settimana e per provarlo l'ex marito esibì le ricevute del motel.
Soldi richiesti e rapporti coniugali deteriorati, soprattutto in tempi di recessione, sono l'impasto che spesso porta davanti a un giudice. Lo si può leggere nelle statistiche dei reati consumati nella Bergamasca nel 2008, alla voce del mancato versamento di alimenti fra coppie separate. Un numero passato dai 278 casi denunciati nel 2006 ai 292 del 2007 per giungere ai 315 dello scorso anno.
«E chiaro che separarsi comporta difficoltà economiche - osserva il procuratore Addano Galizzi -. Se poi in famiglia lavora solo il marito, versare gli alimenti alla moglie separata e ai figli diventa un problema quando scatta la cassa integrazione o addirittura il licenziamento, soprattutto in questi periodi di crisi economica diffusa».
A volte sono gli inquirenti stessi a mettersi la mano sul cuore: « Se - confessa il pm Pugliese - un ex marito per uno o due mesi non versa gli alimenti e mi documenta che ha perso l'impiego o parte significativa del reddito, io per la denuncia chiedo l'archiviazione».
Stefano Serpellini
L'Eco di Bergamo
Poche, in percentuale, le inchieste che sfociano in condanna. «Molte volte - rivela il pm Pugliese - siamo noi stessi a chiedere l'archiviazione. In altri casi, invece, si arriva a un processo dove la presunta vittima ridimensiona il proprio racconto. È successo anche che qualche ex moglie sia finita indagata per calunnia».
Sono per lo più italiane (mogli di italiani e anche di stranieri) le presunte vittime che si rivolgono alla Procura. Più limitata, invece, la percentuale dei genitori (il più delle volte anziani) presi a botte dai figli. Anche papà e mamme tendono a minimizzare i fatti dopo la denuncia, ma in questo caso lo fanno per amore e non per denaro.
Carmen Pugliese una tiratina d'orecchi la riserva anche alle associazioni che operano a tutela delle donne: «Non fanno l'operazione di filtro che dovrebbero fare: incitano le assistite a denunciare, ma poi si disinteressano del percorso giudiziario, di verificare come finirà la vicenda. Mi sembra una difesa indiscriminata della tutela della donna che viene a denunciare i maltrattamenti, senza mettere in conto che questa donna potrebbe sempre cambiare versione».
Ovvio che molte volte le violenze si verificano davvero e in modo pesante: «Da noi arrivano donne col volto tumefatto e in alcuni casi contro i mariti emettiamo misure cautelari». Ma talvolta a patire le conseguenze di denunce enfatizzate sono uomini che cascano dalle nuvole. Come quel bergamasco denunciato dalla ex moglie dell'Est che s'era rifugiata in una comunità protetta. Lei lo aveva dipinto come una sorta di persecutore, lui si presentò in Procura a raccontare che il rapporto non era poi così compromesso: i due continuavano a vedersi ogni fine settimana e per provarlo l'ex marito esibì le ricevute del motel.
Soldi richiesti e rapporti coniugali deteriorati, soprattutto in tempi di recessione, sono l'impasto che spesso porta davanti a un giudice. Lo si può leggere nelle statistiche dei reati consumati nella Bergamasca nel 2008, alla voce del mancato versamento di alimenti fra coppie separate. Un numero passato dai 278 casi denunciati nel 2006 ai 292 del 2007 per giungere ai 315 dello scorso anno.
«E chiaro che separarsi comporta difficoltà economiche - osserva il procuratore Addano Galizzi -. Se poi in famiglia lavora solo il marito, versare gli alimenti alla moglie separata e ai figli diventa un problema quando scatta la cassa integrazione o addirittura il licenziamento, soprattutto in questi periodi di crisi economica diffusa».
A volte sono gli inquirenti stessi a mettersi la mano sul cuore: « Se - confessa il pm Pugliese - un ex marito per uno o due mesi non versa gli alimenti e mi documenta che ha perso l'impiego o parte significativa del reddito, io per la denuncia chiedo l'archiviazione».
Stefano Serpellini
L'Eco di Bergamo
Stalking: in aumento le false denunce, solo 2 casi su 10 sarebbero fondati
31 maggio 2013 - (PRIMAPRESS) MILANO - Efferati omicidi, maltrattamenti e altri reati di stalking, le cui vittime sono quasi esclusivamente donne, continuano incessantemente a riempire le pagine di cronaca giudiziaria nazionale. Di fronte a un fenomeno così diffuso c’è però chi se ne approfitta, arrivando a utilizzare la denuncia come arma di ricatto, soprattutto nei confronti dell’ex. Capita sempre più spesso che, al termine dei tre gradi di giudizio, molte denunce finiscano per essere classificate come assolutamente infondate e calunniose.
“Da un’analisi dei dati a disposizione della Procura di Bergamo - che vanta il merito di aver scoperchiato il vaso di pandora su questa prassi ormai consolidata - le denunce di violenza negli ultimi anni sono aumentate in maniera esponenziale, fino ad arrivare, in comuni con una media di cento mila abitanti, a circa 400 casi all’anno, poco più di un episodio al giorno – spiega l’Avvocato Lorenzo Puglisi, presidente di SOS Stalking.
Secondo questa ricerca solo in 2 casi su 10 si potrebbe parlare di veri e propri maltrattamenti, mentre nella restante parte si tratterebbe esclusivamente di querele enfatizzate ad arte ed utilizzate come armi di ricatto per scopi prettamente economici”.[...]
Una vera e propria ‘piaga sociale’ questa, che rappresenta uno dei cavalli di battaglia delle associazioni a tutela dei padri separati, i quali ancora oggi si battono per rivendicare la presunta disparità di trattamento di alcuni magistrati che tenderebbero ad agevolare quasi sempre la donna, arrivando perfino a chiudere un occhio davanti a storie palesemente artefatte.
Il teorema è semplice: “se non mi concedi quello che chiedo, ti denuncio”. Un meccanismo così collaudato è comprovato, peraltro, dall’elevato numero di mogli che, ottenuto il proprio scopo processuale, ritira la denuncia con la più assoluta noncuranza delle risorse spese dagli organi di polizia (e di conseguenza dalla collettività) per indagare su reati inesistenti.
“Certo, ci si aspetta che, ricevute le rassicurazioni da una presunta vittima circa l’intervenuta riappacificazione, un pubblico ministero sia portato a chiedere l’archiviazione, ma la certezza matematica non esiste e in astratto potrebbe accadere che lo sfortunato marito venga condannato ugualmente senza alcuna colpa”, conclude Puglisi. (PRIMAPRESS)
29 gennaio 2009
di Jacqueline Monica Magi
(Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia)
Onestà intellettuale vuole che oltre a parlare delle violenze atroci subite da tante donne, oltre le violenze quotidiane subite fra le mura domestiche si parli anche dei casi di “false” violenze o meglio di “false” denunce di violenza subita.
Potrebbe sembrare incredibile che si possa accusare qualcuno che si sa innocente di un delitto turpe quale quello di violenza sessuale, in particolare quando è perpetrata su un bambino, eppure succede e neanche troppo raramente, secondo la mia opinione.
Inutile dire che per l’esperienza fatta le false denunce provengono quasi nella totalità da donne, spesso madri che in tal modo tentano di allontanare gli ex mariti dai figli o peggio credono di vendicarsi di non si sa quali torti subiti durante il matrimonio, senza non solo e non tanto capire che una falsa denuncia è un reato ma soprattutto che in tal modo rovinano in primo luogo la vita dei propri figli, negandogli il padre e distruggendo la possibilità di fare giustizia per i casi di vere violenze.
Il reato di violenza sessuale infatti non è sempre di facile prova, non essendo sempre disponibili prove oggettive sia perché non sempre una violenza sessuale lascia tracce, sia perché non sempre la denuncia avviene in tempo utile per raccogliere questo tipo di prove (prove oggettive si intendono tracce di sperma, di peli pubici e tracce organiche in genere).
Quando la violenza è avvenuta senza penetrazione o senza eiaculazione o tempo prima della denuncia spesso si dispone della parola della vittima contro quella del denunciato, specie nei casi in cui il soggetto è un bambino.
Fortunatamente la moderna scienza psicologica ci fornisce elementi di valutazione tali da capire quando una vittima dice la verità, quando è credibile, quando la completezza della sua condotta dimostra l’essere avvenuto un trauma, a sostegno delle affermazioni delle vittime o delle proclamazioni di innocenza degli indagati-imputati.
Inutile dire che la presenza di false denunce aumenta la possibilità per gli indagati-imputati di dichiararsi vittime di un complotto, minando un assetto probatorio, come ora spiegato, di per sé fragile.
Fortunatamente nella mia esperienza i casi di false denunce sono anche quelli che hanno un alto tasso di richieste di archiviazione da parte della Procura, anzi devo dire che ho sempre visto scoperti questi casi di false denunce, ma ciò non diminuisce la responsabilità di chi le compie, anche considerato che i tempi comunque lunghi delle indagini non sono semplici da passare per gli indagati innocenti.
Voglio raccontare una storia di false denunce.
Questa storia è stata modificata nei nomi per evitare che si riconoscano i soggetti e comunque appartiene ad una realtà non toscana, appresa non da esperienza diretta.
ANNA
Anna è una ragazza dall’aspetto angelico e dolce, ma incarna come nessuna il detto “l’acqua cheta rompe i ponti”. In realtà dietro al suo aspetto dolce si nasconde una furbetta che verrà infine incastrata solo dalla sua ignoranza dei meccanismi processuali.
Anna è sposata ad un professionista serio e lavora solo part-time da un amico del marito che fa l’avvocato. Il suo tallone d’Achille sono gli uomini, le piacciono e molto e non tanto i noiosi amici del marito e di famiglia, rispettabili e ingessati, quanto i tipi alla Marlon Brando in Fronte del Porto.
Sfortunatamente nello studio in cui lavora ha modo di conoscere alcuni soggetti, clienti dell’avvocato appunto, che hanno caratteristiche che ad Anna piacciono molto. Scherza con loro, con alcuni flirta ma talvolta non si limita a flirtare.
Sfortunatamente un giorno un “gioco” troppo spinto viene scoperto da un’altra impiegata dello studio: qual è il lampo di genio di Anna? Sostenere che il bello e ombroso cliente la stava violentando.
L’accusa pare sostenibile: l’impiegata, l’avvocato, il marito si stringono intorno ad Anna spingendola a querelare, ovviamente in buona fede, credendo ad Anna, essendoci al momento solo la parola di lei contro quella di lui, un pluripregiudicato.
Anna cede ai consigli e sporge querela, preoccupata più di far reggere la sua messinscena che della sorte del suo ormai ex-amante. Questi, incredulo, si rivolge a vari avvocati che gli consigliano il patteggiamento finché ne incontra uno che si mette a svolgere indagini difensive, cercando di trovare riscontri a quanto sostenuto dal querelato, ovvero che fra lui e Anna c’era una relazione che durava già da un anno al momento della “presunta” violenza sessuale.
L’avvocato in effetti trova vari riscontri alla tesi del denunciato, primo fra tutti gli sms che Anna aveva mandato allo stesso e che lui, romanticamente, conservava, nonché le innumerevoli chiamate giornaliere fra i cellulari dei due protagonisti, che non si potevano giustificare se non con una relazione adulterina, non potendosi pensare ad altro tipo di amicizia di una donna con un soggetto simile.
Al processo l’avvocato giocò bene le sue carte e dopo aver interrogato Anna sui suoi rapporti con l’imputato, che essa disse limitarsi alla conoscenza dovuta alla frequentazione dello stesso allo studio, le chiese conto delle telefonate e degli sms, minando completamente la credibilità della stessa, in modo da ingenerare un dubbio tale da far assolvere l’imputato.
Superfluo ribadire quanto il comportamento di Anna abbia creato precedenti che possono danneggiare le vittime vere, quelle che la violenza la subiscono ma non hanno prove, quelle che si sentono aggredire in dibattimento da chi si fa forte dell’esistenza delle false denunce e cerca di sostenere che le violenze sessuali non si possono provare in quanto le vittime non sono credibili.
Questo tipo di difesa, particolarmente odiosa per chi prima subisce la violenza sessuale e poi si vede costretta a subire una vera e propria “tortura” psicologica al dibattimento (come se la prova di resistenza psicologica al dibattimento possa costituire prova dei fatti, assunto mutuato de plano dalla Santa Inquisizione, evidentemente non del tutto sopita), è la difesa principe di chi è accusato di pedofilia, che ha gioco facile considerando che la giovane età della vittima la pone in una effettiva situazione di inferiorità psicologica già di partenza, situazione di inferiorità poi portata all’eccesso da certi sistemi di interrogatorio.
Anna è sposata ad un professionista serio e lavora solo part-time da un amico del marito che fa l’avvocato. Il suo tallone d’Achille sono gli uomini, le piacciono e molto e non tanto i noiosi amici del marito e di famiglia, rispettabili e ingessati, quanto i tipi alla Marlon Brando in Fronte del Porto.
Sfortunatamente nello studio in cui lavora ha modo di conoscere alcuni soggetti, clienti dell’avvocato appunto, che hanno caratteristiche che ad Anna piacciono molto. Scherza con loro, con alcuni flirta ma talvolta non si limita a flirtare.
Sfortunatamente un giorno un “gioco” troppo spinto viene scoperto da un’altra impiegata dello studio: qual è il lampo di genio di Anna? Sostenere che il bello e ombroso cliente la stava violentando.
L’accusa pare sostenibile: l’impiegata, l’avvocato, il marito si stringono intorno ad Anna spingendola a querelare, ovviamente in buona fede, credendo ad Anna, essendoci al momento solo la parola di lei contro quella di lui, un pluripregiudicato.
Anna cede ai consigli e sporge querela, preoccupata più di far reggere la sua messinscena che della sorte del suo ormai ex-amante. Questi, incredulo, si rivolge a vari avvocati che gli consigliano il patteggiamento finché ne incontra uno che si mette a svolgere indagini difensive, cercando di trovare riscontri a quanto sostenuto dal querelato, ovvero che fra lui e Anna c’era una relazione che durava già da un anno al momento della “presunta” violenza sessuale.
L’avvocato in effetti trova vari riscontri alla tesi del denunciato, primo fra tutti gli sms che Anna aveva mandato allo stesso e che lui, romanticamente, conservava, nonché le innumerevoli chiamate giornaliere fra i cellulari dei due protagonisti, che non si potevano giustificare se non con una relazione adulterina, non potendosi pensare ad altro tipo di amicizia di una donna con un soggetto simile.
Al processo l’avvocato giocò bene le sue carte e dopo aver interrogato Anna sui suoi rapporti con l’imputato, che essa disse limitarsi alla conoscenza dovuta alla frequentazione dello stesso allo studio, le chiese conto delle telefonate e degli sms, minando completamente la credibilità della stessa, in modo da ingenerare un dubbio tale da far assolvere l’imputato.
Superfluo ribadire quanto il comportamento di Anna abbia creato precedenti che possono danneggiare le vittime vere, quelle che la violenza la subiscono ma non hanno prove, quelle che si sentono aggredire in dibattimento da chi si fa forte dell’esistenza delle false denunce e cerca di sostenere che le violenze sessuali non si possono provare in quanto le vittime non sono credibili.
Questo tipo di difesa, particolarmente odiosa per chi prima subisce la violenza sessuale e poi si vede costretta a subire una vera e propria “tortura” psicologica al dibattimento (come se la prova di resistenza psicologica al dibattimento possa costituire prova dei fatti, assunto mutuato de plano dalla Santa Inquisizione, evidentemente non del tutto sopita), è la difesa principe di chi è accusato di pedofilia, che ha gioco facile considerando che la giovane età della vittima la pone in una effettiva situazione di inferiorità psicologica già di partenza, situazione di inferiorità poi portata all’eccesso da certi sistemi di interrogatorio.
© Criminologia.it © Articolo pubblicato in rete il 24/1/2006 alle ore 20,20
25 novembre 2009
http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/imperia/2009/11/25/AM6lud8C-stalking_incisiva_giusta.shtml?html
«Bene ha fatto il legislatore a colmare un vuoto che penalizzava le vittime, tuttavia la norma sullo stalking resta generica e incompleta. E, soprattutto, appaiono difficilmente inquadrabili le condotte che configurano il reato. Senza contare i limiti procedurali: fatta eccezione per alcune fattispecie riconducibili a specifiche aggravanti, l’azione penale può essere avviata solo su querela di parte».
A parlare è il pm Barbara Bresci, titolare del maggior numero di fascicoli per stalking aperti dalla Procura di Sanremo Pubblico ministero a Sanremo dal luglio del 2006, la dottoressa Barbara Bresci è il magistrato che dall’introduzione del nuovo reato nel nostro ordinamento (febbraio 2009), ha aperto il più alto numero di fascicoli per stalking. «Eviterei di personalizzare. Meglio illustrare l’argomento attraverso le statistiche che registra complessivamente la Procura di Sanremo,. Statistiche che dicono che dall’applicazione della legge, ovvero negli ultimi otto mesi, sono stati avviati più di sessanta procedimenti, con una media di due denunce a settimana. Non ho idea se si tratti o meno di un record, certo è che i casi sono molti e impegnano in modo crescente i nostri uffici e la polizia giudiziaria».
In cosa consiste la «genericità» della norma?
«Significa che le procure sono costrette a interpretare la legge, con il rischio di concedere troppo spazio alla discrezionalità. Mi spiego. Il legislatore stabilisce che i presupposti che configurano il reato di stalking sono sostanzialmente tre, ovvero che la presunta vittima, a seguito di pressioni, persecuzioni, minacce, violenze e quant’altro, viva una condizione di ansia, abbia timore per la propria incolumità e che a causa delle condotte dello “stalker” venga costretta a modificare le sue abitudini di vita e di relazione. Inoltre, la legge parla di condotte reiterate, senza fornire parametri di riferimento precisi e omogenei. In questo modo diventa difficile inquadrare lo stalking e diversificare il reato rispetto alle singole contestazioni di molestie e maltrattamenti in famiglia. Per non parlare, poi, dei rischi di strumentalizzazione della giustizia penale, che aumentano in maniera proporzionale all’incremento dei fascicoli per stalking».
Vuole dire che molte vittime non sono tali?
«Spiace constatarlo, ma è così. Sempre più spesso si ricorre alla querela del coniuge o del convivente per risolvere a proprio favore i contenziosi civili per l’affidamento dei figli o per l’assegno di mantenimento. Non sono rari i casi che, a controversia sanata, le querele vengano rimesse, con buona pace per le risorse professionali ed economiche investite dagli inquirenti allo scopo di istruire i fascicoli e raccogliere gli elementi probatori a carico degli indagati».
Ciò non significa che la legge sia sbagliata, o meglio che siano sbagliati i valori che l’hanno ispirata.
«Naturalmente no. Lo ripeto c’era e c’è un grande bisogno di norme a tutela delle donne. Significa però che occorre modificare la legge sullo stalking e integrarla, fornendo alle procure strumenti interpretativi più univoci ed efficaci. Aggiungerei anche un altro suggerimento. Quello di introdurre la procedibilità d’ufficio. In questo modo si creerebbero le condizioni per favorire una pre-selezione delle denunce. Insomma, una sorta di deterrente nei confronti di chi intende strumentalizzare lo stalking. Inoltre si eviterebbe che sua durante la fase istruttoria che addirittura al dibattimento, le vittime, su pressione dell’imputato, rimettano la querela».
Capita spesso?
«Purtroppo sì. Anche in casi molto gravi, che in precedenza avevano portato all’emissione di una misura cautelare. Per ovvi motivi di riservatezza non posso entrare nel merito dei singoli episodi, ma ancora di recente mi è stato comunicato dal difensore e dalla parte civile che una coppia ha espresso la volontà di tornare insieme dopo che, durante l’indagine, avevamo accertato episodi gravissimi a carico dell’uomo».
In questi casi si può procedere per calunnia?
«Solo quando le accuse della vittima si dimostrato totalmente infondate. Ma quando lo stalking è reale, supportato da inequivocabili riscontri probatori, non si può fare altro che prendere atto della volontà manifestata dai due soggetti e archiviare il procedimento».
E’ altrettanto vero che cominciano a fare statistica anche le prime condanne. «Sì, ma la legge sullo stalking è molto recente e nella maggior parte dei casi i procedimenti sono ancora in fase istruttoria. Occorrerà ancora un po’ di tempo prima che si vada a regime. Solo allora potremo avere un quadro più attendibile. Posso dire, però, che l’eccessiva discrezionalità della norma ha conseguenza negative anche in sede di giudizio. Non sono rari i casi in cui è stato riqualificato il capo d’imputazione o che il giudice abbia derubricato lo stalking».
In ultimo, capitolo intercettazioni. Sono possibili per lo stalking? «Lo sono, ma solo a determinate condizioni. Cioè quando si prospettano delle aggravanti, in particolare quando il reato è commesso ai danni di una minore, di una disabile o di una donna in gravidanza. Oppure quando le condotte dell’indagato sfocino in conclamate e reiterate forme di violenza fisica o sessuale. Ma anche qui la norma è generica: come si quantifica la condotta reiterata. Forse che una donna debba essere massacrata di botte più di una volta per essere considerata vittima di stalking?».
A parlare è il pm Barbara Bresci, titolare del maggior numero di fascicoli per stalking aperti dalla Procura di Sanremo Pubblico ministero a Sanremo dal luglio del 2006, la dottoressa Barbara Bresci è il magistrato che dall’introduzione del nuovo reato nel nostro ordinamento (febbraio 2009), ha aperto il più alto numero di fascicoli per stalking. «Eviterei di personalizzare. Meglio illustrare l’argomento attraverso le statistiche che registra complessivamente la Procura di Sanremo,. Statistiche che dicono che dall’applicazione della legge, ovvero negli ultimi otto mesi, sono stati avviati più di sessanta procedimenti, con una media di due denunce a settimana. Non ho idea se si tratti o meno di un record, certo è che i casi sono molti e impegnano in modo crescente i nostri uffici e la polizia giudiziaria».
In cosa consiste la «genericità» della norma?
«Significa che le procure sono costrette a interpretare la legge, con il rischio di concedere troppo spazio alla discrezionalità. Mi spiego. Il legislatore stabilisce che i presupposti che configurano il reato di stalking sono sostanzialmente tre, ovvero che la presunta vittima, a seguito di pressioni, persecuzioni, minacce, violenze e quant’altro, viva una condizione di ansia, abbia timore per la propria incolumità e che a causa delle condotte dello “stalker” venga costretta a modificare le sue abitudini di vita e di relazione. Inoltre, la legge parla di condotte reiterate, senza fornire parametri di riferimento precisi e omogenei. In questo modo diventa difficile inquadrare lo stalking e diversificare il reato rispetto alle singole contestazioni di molestie e maltrattamenti in famiglia. Per non parlare, poi, dei rischi di strumentalizzazione della giustizia penale, che aumentano in maniera proporzionale all’incremento dei fascicoli per stalking».
Vuole dire che molte vittime non sono tali?
«Spiace constatarlo, ma è così. Sempre più spesso si ricorre alla querela del coniuge o del convivente per risolvere a proprio favore i contenziosi civili per l’affidamento dei figli o per l’assegno di mantenimento. Non sono rari i casi che, a controversia sanata, le querele vengano rimesse, con buona pace per le risorse professionali ed economiche investite dagli inquirenti allo scopo di istruire i fascicoli e raccogliere gli elementi probatori a carico degli indagati».
Ciò non significa che la legge sia sbagliata, o meglio che siano sbagliati i valori che l’hanno ispirata.
«Naturalmente no. Lo ripeto c’era e c’è un grande bisogno di norme a tutela delle donne. Significa però che occorre modificare la legge sullo stalking e integrarla, fornendo alle procure strumenti interpretativi più univoci ed efficaci. Aggiungerei anche un altro suggerimento. Quello di introdurre la procedibilità d’ufficio. In questo modo si creerebbero le condizioni per favorire una pre-selezione delle denunce. Insomma, una sorta di deterrente nei confronti di chi intende strumentalizzare lo stalking. Inoltre si eviterebbe che sua durante la fase istruttoria che addirittura al dibattimento, le vittime, su pressione dell’imputato, rimettano la querela».
Capita spesso?
«Purtroppo sì. Anche in casi molto gravi, che in precedenza avevano portato all’emissione di una misura cautelare. Per ovvi motivi di riservatezza non posso entrare nel merito dei singoli episodi, ma ancora di recente mi è stato comunicato dal difensore e dalla parte civile che una coppia ha espresso la volontà di tornare insieme dopo che, durante l’indagine, avevamo accertato episodi gravissimi a carico dell’uomo».
In questi casi si può procedere per calunnia?
«Solo quando le accuse della vittima si dimostrato totalmente infondate. Ma quando lo stalking è reale, supportato da inequivocabili riscontri probatori, non si può fare altro che prendere atto della volontà manifestata dai due soggetti e archiviare il procedimento».
E’ altrettanto vero che cominciano a fare statistica anche le prime condanne. «Sì, ma la legge sullo stalking è molto recente e nella maggior parte dei casi i procedimenti sono ancora in fase istruttoria. Occorrerà ancora un po’ di tempo prima che si vada a regime. Solo allora potremo avere un quadro più attendibile. Posso dire, però, che l’eccessiva discrezionalità della norma ha conseguenza negative anche in sede di giudizio. Non sono rari i casi in cui è stato riqualificato il capo d’imputazione o che il giudice abbia derubricato lo stalking».
In ultimo, capitolo intercettazioni. Sono possibili per lo stalking? «Lo sono, ma solo a determinate condizioni. Cioè quando si prospettano delle aggravanti, in particolare quando il reato è commesso ai danni di una minore, di una disabile o di una donna in gravidanza. Oppure quando le condotte dell’indagato sfocino in conclamate e reiterate forme di violenza fisica o sessuale. Ma anche qui la norma è generica: come si quantifica la condotta reiterata. Forse che una donna debba essere massacrata di botte più di una volta per essere considerata vittima di stalking?».
«L’accusa di violenza sessuale è il modo più facile per estromettere il padre dalla vita dei figli. La donna non solo si libera del partner come coniuge ma anche come padre, facendolo uscire definitivamente dalla sua vita....», «La legge attuale non garantisce né il padre, né il minore. Per quanto riguarda il bambino (...) quando si rivela la falsa accusa, che di solito è fatta su istigazione della madre, la situazione si rivolta proprio contro di lui...».
Maria Carolina Palma, CTU c/o Trib. di Palermo – Avvenire, 13/4/2009
"Uno dei miti diffusi nella nostra società è che la violenza domestica sia qualcosa che gli uomini fanno alle donne [...] Le donne istigano la maggior parte delle violenze in ambiente domestico e costruiscono false accuse”".
Rossana Alfieri, pedagogista clinica, 12.6.2009
“Tematiche spesso ignorate e sottaciute....il concetto di violenza di genere viene inteso come indissolubilmente legato alla vittima femminile, ma la realtà è diversa… …A fronte della violenza cieca, diretta dell’uomo, esiste una violenza subdola, fredda, vendicativa, tipica della donna…L’utilizzo emergente delle false accuse in caso di separazione è solo uno degli aspetti….
Chiara Camerani – docente di Criminologia, Università de L'Aquila, 2009
“Se ci sono i minori in ballo, si mettono in atto dinamiche crudeli: le donne costruiscono false denunce di maltrattamenti o molestie sui figli a scapito del coniuge, per togliere a quest'ultimo la patria potestà”
Cristina Nicolini – avvocato matrimonialista
“credo che la tendenza stia crescendo: questo è sintomo di un disagio della mancanza di un punto d'ascolto. [...] Ad adottare questi sotterfugi sono sempre le donne: se la separazione è in corso, non ci sono strumenti prima dell'udienza per allontanare uno dei due genitori da casa. L'ordine di allontanamento giunge solo in caso di violenza fisica, ed ecco perché arrivano le denunce verso i mariti, per la maggior parte dei casi inventate”
Clara Cirillo – Presidente AGI (Associazione Giuristi Italiani) 4 febbraio 2010
“…le false accuse di maltrattamenti, percosse, abusi sessuali e violenze di vario genere su donne adulte e figli minori - le querele costruite al solo scopo di eliminare l’ex marito dalla vita dei figli - oscillano nelle procure italiane da un minimo del 70 ad un massimo del 90%…”
Sara Pezzuolo, Psicologa giuridica – Convegno ANFI (Associazione Nazionale Familiaristi Italiani)
Firenze, 29 aprile 2010
“…il “vizietto” nostrano di approfittare della legge, quando c’è, proprio non vuole morire. E, spesso si configura un reato, legato al mero interesse (economico) della presunta vittima di molestie. Non è un caso che spesso si ricorra alla querela del coniuge o del convivente per risolvere a proprio favore i contenziosi civili per l’affidamento dei figli o per l’assegno di mantenimento”.
Valentina Noseda – giornalista, consulente RAI
“…una ricerca pubblicata dal Prof. Giovanni Camerini della Cattedra di NPI a Modena, relativa ad una casistica di 60 denunce di abuso sessuale all'interno di separazioni conflittuali, porta ai seguenti risultati: 3 casi di condanna, i rimanenti 57 esitati in archiviazione, proscioglimento in istruttoria o assoluzione perché il fatto non sussiste. Sarebbe utile indagare sulle conseguenze, non solo per gli adulti ma per gli stessi bambini, di questi coinvolgimenti in denunce infondate. Occorre più ricerca sull’uso strumentale delle denuncie di abusi, oltre ad un’inchiesta sul modus operandi dei centri.che le favoriscono…”
Cattedra NPI, Modena, ricerca Cesi S., Masina E, Camerini G.B.- Casistica nelle separazioni conflittuali, International Congress of ESCAP “Bridging the Gaps” , Firenze, 25-30 agosto 2007
«… false denunce generate nel contesto delle controversie legali della separazione. È quest’ultimo l’ambito nel quale viene evidenziata la maggiore incidenza (…)in letteratura l’accento è stato posto sulle ripercussioni per il minore abusato che non viene creduto, ma anche nel caso di una falsa denuncia ritenuta fondata il bambino è destinato a subire un trauma.(…) non solo rimane intrappolato nella spirale dell’iter processuale, ma è avviato a percorsi terapeutici per vittime di abuso (…) invasivi e potenzialmente iatrogeni»
Jolanda Stevani, Psicologa Forense, CTU c/o Trib. Di Roma – Psicologia Contemporanea, nov. 2010, pp 18-23
"(…) sebbene siano utili in caso di abusi reali e non costruiti, è necessario sollecitare un controllo sui centri antiviolenza (…)…Studiando le numerose vicende giudiziarie dei padri privati ingiustamente del ruolo genitoriale, (ferma restando la necessità della tutela dei minori in caso di abusi e/o disagi acclarati e non solo millantati), da donna e madre, prima ancora che da avvocato, esprimo la mia solidarietà. Sottolineo però l'esigenza, alla luce delle ingerenze economiche (sovvenzioni pubbliche) comuni a tutti i casi che stanno emergendo, di promuovere una raccolta firme da inoltrare alle Autorità competenti al fine di fare emergere la reale dimensione sociale del problema - che sembra essere esteso su tutto il territorio nazionale - e sollecitare un intervento qualificato che miri al controllo sulle gestioni di questi centri antiviolenza, sulle competenze e professionalità coinvolte e, soprattutto, che sfoci in una più attenta normativa sui limiti dei loro poteri di azione. Mi sembra, infatti, che allo stato, non sia garantita una giusta perequazione tra l'esigenza di tutela dei minori in presunto stato di disagio ed il diritto del genitore privato del suo ruolo di contestare legittimamente i provvedimenti, troppo spesso assunti inaudita altera parte”.
Daniela Piccione – Avvocato, Delegato Regionale Sicilia Familiaristi Italiani, 31 10 2009
Dall’ipotesi di abuso all’abuso di ipotesi
Diritti Riservati – nessuna parte della pubblicazione può essere tradotta, riprodotta o pubblicata, tutta o in parte, senza autorizzazione della casa editrice Franco Marasco, Foggia
Monica Lupo, 2007 – avvocato, specializzata in abuso sui minori presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Modena e Reggio Emilia
L’abuso dell’abuso e del maltrattamento
Master di II Livello in Scienze Forensi
(Criminologia-Investigazione-Security-Intelligence)
Coordinatore Scientifico: Prof. Francesco Bruno
Coordinatore Didattico: Avv. Prof. Natale Fusaro
Tesi di Master . abstract
“…a fronte di una separazione coniugale, sono sempre più frequenti accuse di abusi/maltrattamenti del tutto strumentali, finalizzate ad arrecare forte danno all’ex partner; la letteratura parla persino di “Sindrome da accuse sessuali in divorzio”. In questi casi la rottura passa attraverso la più totale distruttività nei confronti dell’altro, attraverso accuse gravissime che sconvolgono l’esistenza del soggetto minore coinvolto e del genitore ingiustamente accusato. Il fenomeno è in crescita esponenziale soprattutto in assenza di modelli strategici atti ad arginarlo nonostante siano stati stilati protocolli finalizzati ad una corretta valutazione sia della testimonianza del minore, sia del contesto di riferimento. La mia tesi è che si assista comunque alla negazione del diritto al giusto processo nei confronti di indagati e di imputati coinvolti; infatti spesso l’esito è un processo di tipo “verificazionista”: “di abuso si parla e l’abuso si deve trovare”.
Chi è chiamato a giudicare viene condizionato da quella che personalmente chiamo “Sindrome di Stoccolma per procura”, secondo la quale, in presenza di prassi devianti, si preferisce evitare un trauma psicologico alle vittime presunte causandone uno altrettante grave che consiste nel ritenere aprioristicamente verosimile l’accusa, emettendo ordini di protezione dalla persona falsamente accusata. Le ideologie sacrificano nel loro nome il diritto alla difesa. Si attribuisce a chi denuncia un credito riconducibile al pregiudizio, sacrificando integralmente il diritto di difesa degli indagati a causa della non riconosciuta necessità di rispettare, specie nella fase iniziale delle indagini, canoni scientifici, linee guida e protocolli riconosciuti a livello nazionale ed internazionale.
L’abuso dell’abuso/maltrattamento rappresenta una prassi dalla quale è molto difficile difendersi.
Credo che le intenzioni dei magistrati e degli operatori coinvolti nelle valutazioni debbano essere quelle di tutelare il minore affinché non subisca ulteriori e inutili traumi, ma anche di garantire l’adulto che, in questi casi, è stato accusato falsamente di un reato infamante. Inoltre, credo che una ulteriore garanzia debba essere posta nei confronti del legame genitoriale che viene strumentalmente ed ingiustamente reciso per lunghissimo tempo”..
Loretta Ubaldi - Pedagogista Forense, Criminologa, specializzata in Diritto del Minore, Consulente dei Tribunali di Roma
“(…) molti genitori sono mostruosamente orgogliosi, consapevoli di usare i propri figli per teatrini macabri e nel proprio esclusivo interesse (…) falsi abusi, falsi maltrattamenti, false corruzioni a danno dei figli, per togliere di mezzo l’altro genitore, ritenendolo rottamabile con mezzi disonesti e rapidi (…)”
Annamaria Bernardini De Pace – avvocato matrimonialista (MI)
Divorzi difficili e menzogne - Quei padri-mostri costruiti a tavolino – Il Giornale, 27 giugno 2011
Polizia Moderna – organo ufficiale della Polizia di Stato
“(…) si registra una epidemia di denunce nei confronti di ex mariti e padri degeneri accusati, fra l’altro, di maltrattamenti ed abusi sessuali sui loro stessi figli. Alcune di queste accuse sono purtroppo fondate come recenti e terribili fatti di cronaca confermano, ma la maggior parte di esse, spesso le più infamanti, si dimostrano, dopo un iter doloroso e certamente non breve, false o inattendibili. Le denunce “false” costituiscono un’ampia gamma di resoconti non corrispondenti alla verità/realtà dei fatti che vanno dalle dichiarazioni menzognere sostenute dalla precisa volontà e finalità di danneggiare l’ex marito-padre, alle dichiarazioni erronee a causa di una interpretazione distorta (…)”
http://www.poliziadistato.it/poliziamoderna/articolo.php?cod_art=2375 – giugno/luglio 2011
“(…) La falsa accusa di stalking è uno dei modi più semplici per estromettere l'altro coniuge dalla vita dei figli per un lungo periodo. Un ruolo di grave responsabilità lo assumono le associazioni che operano a tutela delle donne (…)le false denunce provengono quasi nella totalità da donne, spesso madri che in tal modo tentano di allontanare gli ex mariti dai figli (…).
Rosa Di Caprio – avvocato (NA) Convegno ANFI - 10 gennaio 2011
http://www.guidelegali.it/Approfondimento/false-denunce-di-stalking-nelle-separazioni-4232.aspx
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Inoltre in alcuni casi emerge un’operazione di lobbyng antimaschile a prescindere dalla fondatezza o meno delle accuse formulate; alcuni centri antiviolenza pubblicizzano apertamente la propensione del proprio pool legale ad aggirare la legge. Sul sito differenzadonna.it, nello spazio “Assistenza Legale” si legge:1
“...le nostre legali intervengono a favore della donna solo nei casi di separazione decisa per violenza agita nei confronti della donna stessa e dei bambini. Professioniste molto motivate, sempre al corrente delle ultime leggi, molto valide nel sottolinearne le novità negative e trovare il modo di aggirarle...”
Vale a dire: con l'affido condiviso i figli non sono più proprietà esclusiva di un genitore.
C’è chi la interpreta come una novità negativa, quindi urge studiare una strategia per aggirarla.
L’unico criterio di esclusione immediata del coniuge è la pericolosità dovuta alla violenza.
Ergo: se la violenza c'è si denuncia, se non c'è si trova il modo di costruirla.
Le operatrici del Diritto - tutte di genere femminile - testimoniano come tale strategia venga messa in atto in percentuali che oscillano, a seconda delle Procure, tra il 70 ed il 90%.
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