30 gennaio 2011

Amaia Beranoagirre, psicologa. Articolo pubblicato nella revista Hika , n° 171-172, novembre-dicembre 2005

Oggigiorno c’è bisogno di una revisione seria e scientificamente vagliata sul come si stanno raccogliendo i dati e come si realizzano gli studi sul maltrattamento (ma [che siano condotti] da gente indipendente, i cui posti di lavoro non dipendano dall'esistenza della violenza stessa). La Sanahuja (magistrato decano della Corte di Barcellona) è stata la prima a sostenere che c’è stato un aumento delle false denunce; dati che sono stati confermati una volta pubblicato che nei Paesi Baschi il 30% delle denunce vengono archiviate d’ufficio.
Una percentuale delle denunce false, o enfatizzate, è dovuta ad alcuni avvocati che incoraggiano le donne a denunciare per maltrattamenti al fine di ottenere vantaggi nelle separazioni; in certe occasioni tutto è lecito per vincere. Un’altra percentuale di donne utilizza la denuncia come strumento di aggressione e dominio sui propri partner - “se non fai come dico, ti denuncio” - approfittando di un sistema che non controlla la veridicità e le mette al riparo mediante il politicamente corretto, di fronte a cui gli uomini non hanno alcuna difesa.
Quando una donna denuncia presso un'istituzione di essere maltrattata, subito viene riconosciuta come tale, senza che sia vagliata la veridicità di quanto denuncia (di fronte all'attuale pressione sociale, nessuno osa vagliare l'attendibilità o meno di una donna che asserisce di subire maltrattamenti).
Un altro strumento usato come parametro per il maltrattamento è lo Studio dell’Istituto della Donna, anche se impugnabile da subito nella sua metodologia, in quanto è stato realizzato unicamente presse le donne. Quante domande dello stesso Studio avrebbero dato esito positivo nel caso fossero state poste anche agli uomini?
Tutte le domande del questionario potrebbero essere poste agli uomini che conosciamo: padri, mariti, fratelli, amici…; lo stesso questionario potrebbe dare come risultato che anche le donne maltrattano gli uomini. Il questionario definisce come maltrattamento condotte di vita quotidiana che non lo sono (le relazioni non sono facili e non esistono relazioni senza conflitto). Si deve differenziare il livello di conflitto esistente nella coppia, rispetto al maltrattamento. Litigi, sgarbi… ci sono in tutte le relazioni; attualmente tutto è maltrattamento: bisognerebbe ridefinirlo e differenziarlo.
Esempi di alcune domande:
1. “Le impedisce di vedere la sua famiglia o avere relazioni con i suoi amici”
Sono gli uomini ad allontanarsi più delle donne dalle famiglie d’origine; le donne trascinano di più verso le proprie famiglie. Riguardo agli amici, quante volte capita alle donne di arrabbiarsi con i propri partner per aver trascorso il proprio tempo con gli amici, cioè coltivando vita sociale, invece di rimanere con loro?
2. “Le toglie i soldi che Lei guadagna o non gliene dà abbastanza per mantenersi”
Quante donne controllano tutti i soldi che entrano in casa, gestendo i soldi agli uomini?
3. “Ignora quel che Lei dice, non tiene conto della sua opinione, non ascolta le sue richieste”
Quante donne non vogliono sentir parlare degli argomenti che interessano i loro uomini? Quante decisioni sono prese da sole, comprese quelle riguardanti l’economia familiare, ignorando il proprio partner? Quante donne non sanno, né importa loro, quel che i loro partner vogliono, gradiscono…?
4. “Si arrabbia senza che sappia il motivo”
Quante volte le donne s’arrabbiano senza che gli uomini sappiano il motivo?
5. “Davanti ai propri figli dice delle cose offensive nei suoi confronti”
Quante volte lo fanno le donne nei confronti degli uomini: “inutile, pigro…”. E nelle separazioni, sono in maggioranza le donne ad avere la custodia e ad allontanare i figli dal padre, denigrandolo; sono in maggioranza gli uomini a subire l’allontanamento dai figli affetti da PAS, provocata dalle loro ex.
Come gli uomini hanno più forza fisica, nel bene e nel male, così noi donne abbiamo più risorse psichiche ed emozionali, anche nel bene e nel male; lo provano i fenomeni di mobbing lavorativo, dove la percentuale [maggiore] degli autori sono donne sulle stesse donne. E nel bullying (mobbing scolastico) adolescente, dove i dati mostrano come gli autori siano tanto ragazzi quanto ragazze; i primi usano l’attacco fisico, le femmine lo psichico (diffamare, isolare,…) Il mobbing ed il bullying, dove predominano gli attacchi psichici, mostrano che non ci sono differenze nelle percentuali di attacchi, ma nella modalità tra aggressioni fisiche e aggressioni psichiche.
Conseguenze del mobbing lavorativo – attacco psichico – sono le malattie somatiche, i suicidi…Gli uomini presentano tassi di suicidi tre volte maggiori delle donne. Il tasso di suicidi degli uomini separati è sei volte superiore a quello degli sposati, mentre rimane invariato il tasso delle donne, siano esse separate/divorziate o meno.
Sappiamo quanto sia difficile nell’ambito lavorativo, pubblico, ottenere delle prove di mobbing; ancora di più nell’ambito privato; a questo si aggiunga la diversità di trattamento tra uomini e donne di fronte alla legge, e la pressione socio-politica e dei media che, a forza di ripetere il messaggio “donne vittime / uomini carnefici” è diventata una verità inoppugnabile; e così gli uomini hanno molta difficoltà a provare che anche loro subiscono maltrattamento. Inoltre gli uomini vittime sono malaccetti dall'opinione pubblica.
In 15 anni di lavoro con le donne ho potuto osservare come molte di loro risolvono le divergenze con i loro partner disprezzando e svalutando le loro opinioni. Risolvono i conflitti di genere disprezzando il diverso, una tendenza frequente nell’essere umano. Una percentuale importante di donne svaluta, disprezza, cerca di controllare i propri mariti, senza nessuna coscienza di provocare dei danni. C’è una tale pressione sociale sull'attuale visione del maltrattamento (donne-vittime / uomini autori di maltrattamento), che offusca la possibilità di autocritica da parte delle donne: “quel che loro fanno è sempre giustificato”. Molte donne ormai ritengono maltrattamento il diniego del loro partner di fare ciò che esse dicono di dover fare.
Uomini e donne sono autori e vittime di maltrattamenti, anche se le donne riportano lesioni fisiche in una percentuale maggiore degli uomini, per via della maggior forza fisica di quelli. Come riconoscere allora la violenza subita dagli uomini, principalmente psichica e con le armi della donna, come il vittimismo, la colpevolizzazione dell’altro, dato che nella società attuale non si riconosce questa violenza e si tende a riconoscere come verità sociale solo ciò che è politicamente corretto?
Una donna che si presenta come vittima, anche se nella realtà adopera questo atteggiamento per schiacciare il partner, i figli… viene ritenuta vittima; non si riesce a riconoscere nel vittimismo un'arma. Ad esempio, nei rapporti tra donne, è un arma che frequentemente le madri usano per sottomettere al loro volere soprattutto le figlie. La dicotomia “donne-vittime/uomini-carnefici”, contribuisce a riprodurre purtroppo la società patriarcale.
Dicotomia che danneggia tanto gli uomini come le donne; gli uomini, perché in queste circostanze sono indifesi di fronte alla legge ed alla società; noi donne, perché ancora una volta siamo incastrate nel nostro ruolo di vittime, dimenticando una rivendicazione della psicologia femminile che consiste nell’integrare l’aggressività come parte dell’identità personale e sociale: aggressività necessaria per fissare dei limiti, auto-affermarsi, farsi rispettare,…
Capisco la protezione positiva delle donne, di fronte ad una disparità fisica tra uomini e donne. Ma nel caso del maltrattamento psichico, noi donne sembriamo più dotate: maggiore capacità empatica, migliore espressione e verbalizzazione delle emozioni, tanto le proprie quanto le altrui… nel bene e nel male. Non sarebbe allora necessario prendere misure di azione positiva per proteggere gli uomini dal maltrattamento psichico, data una disparità a favore delle donne?

Fonti:




traduz. per CDVD a cura di Santiago G.


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