15 dicembre 2007

di Eugenio Pelizzari - Dicembre 2007

1. Le cause di morte in Italia

Gli ultimi dati Istat ufficiali disponibili, relativi all’anno 2002[1] danno un quadro preciso delle cause di morte in Italia.
Nel 2002 sono morte in Italia 560.390 persone. Di queste 279.296 erano maschi (1,0% della popolazione maschile) e 281.094 erano femmine (0,9% della popolazione femminile)[2] a fronte di una popolazione italiana di 57 milioni 321 mila 70 unità (27.766.223 maschi e 29.554.847 femmine)[3].
Il primo dato che emerge è dunque una maggiore mortalità maschile rispetto a quella femminile.

L’Istat classifica le cause di morte in 9 grandi classi, espresse poi nelle relative tavole a livello di grande dettaglio:

Malattie infettive e parassitarie
Tumori
Disturbi psichici e malattie sistema nervoso org. sensi
Malattie del sistema circolatorio
Malattie dell'apparato respiratorio
Malattie dell'apparato digerente
Altri stati morbosi
Sintomi, segni e stati morbosi mal definiti
Cause esterne dei traumatismi e avvelenamenti


Può essere interessante vedere come si distribuiscono le cause di morte tra i due generi.

2. Come muoiono i maschi

La prima causa di morte dei maschi, nel 2002, sono state le malattie del sistema circolatorio, che hanno causato 105.726 decessi, con un quoziente per 10.000 abitanti del 38,2.
La seconda causa di morte sono stati i tumori, con un indice ogni 10.000 abitanti pari al 33,7, che corrisponde, in termini assoluti, a 93.398 decessi.
Seguono, al terzo posto - ma a grande distanza - le malattie dell’apparato respiratorio, con 20.617 decessi, con un quoziente del 7,4 per 10.000 abitanti.
Al quarto posto di questa mesta graduatoria troviamo il generico “Altri stati morbosi”, ossia stati morbosi (malattie) che non rientrano in altre classificazioni. Muoiono per questa causa 16.295 persone, pari ad un quoziente del 5,9.
Abbiamo poi, al quinto posto, le Cause esterne dei traumatismi e degli avvelenamenti, ossia quelle morti non dovute a malattia ma, appunto, a cause esterne. Questa voce non è di semplice lettura, in quanto aggrega sotto di sé le morti per incidenti, per suicidio, per omicidio ecc.. Sarà necessario guardare, più avanti, meglio in questa categoria. Per adesso limitiamoci a rilevare che in essa si registrano 16.026 decessi, con un quoziente del 5,8.
Al sesto posto troviamo le malattie dell’apparato digerente: 12.485 decessi, pari ad un quoziente del 4,5 ogni 10.000 abitanti.
Al terz’ultimo posto, tra le cause di morte nell’anno 2002, troviamo i disturbi psichici e le malattie del sistema nervoso, che sono causa della morte di 9.552 maschi, con un quoziente del 3,5.
All’ottavo posto ci sono i Sintomi, segni e stati morbosi mal definiti: 3.052 decessi, con un quoziente dell’1,1.
Al nono e ultimo posto troviamo le malattie infettive e parassitarie, per le quali sono morti in Italia, nel 2002, 2.145 maschi, pari ad un quoziente per 10.000 abitanti dello 0,8.

3. Come muoiono le femmine

La situazione non cambia molto per l’universo femminile, ovviamente con alcune specificità.
La prima causa di morte per le femmine italiane nell’anno 2002 - come per i maschi, ma con dati più significativi - sono state le malattie del sistema circolatorio, che hanno causato 131.472 decessi, con un quoziente ogni 10.000 abitanti del 44,6.
Al secondo posto - anche qui come per i maschi, ma stavolta con incidenza notevolmente inferiore - i tumori: 69.672 decessi, con un quoziente del 23,6.
Al terzo posto – anche qui ad enorme distanza rispetto alle due principali cause di morte che maschi e femmine condividono - troviamo invece Altri stati morbosi; 21.173 decessi, con quoziente 7,2.
Al quarto le malattie dell’apparato respiratorio, con 15.324 decessi ed un quoziente del 5,2.
Seguono al quinto i decessi a causa di Disturbi psichici e malattie del sistema nervoso: 14.765 decessi, quoziente 5,0.
Al sesto posto si collocano le malattie dell’apparato digerente, con 12.234 decessi ed un quoziente del 4,1.
Al settimo vi sono le Cause esterne dei traumatismi e degli avvelenamenti, con 10.667 decessi ed un quoziente del 3,6.
In penultima posizione troviamo i Sintomi, segni e stati morbosi mal definiti: 3.640 decessi ed un quoziente dell’1,2.
Ultime in graduatoria, come per i maschi, le malattie infettive e parassitarie, che hanno fatto, sempre nel 2002, 2.147 vittime, pari ad un quoziente per 10.000 abitanti dello 0,7.
La tabella ed il grafico seguenti riassumono e visualizzano i dati sinora riportati:




Come si può facilmente evincere dal raffronto dei quozienti per 10.000 abitanti, le cause in cui la mortalità maschile supera quella femminile sono i tumori, le malattie del sistema respiratorio, le cause esterne, le malattie dell’apparato digerente, e le malattie infettive. Le cause in cui la mortalità femminile supera invece quella maschile sono le malattie del sistema circolatorio, gli altri stati morbosi, i disturbi psichici e gli stati morbosi mal definiti.

4. Le cause esterne

I dati sulle Cause esterne, come anticipato più sopra, esigono di essere guardati con estrema attenzione. Essi forniscono, infatti, informazioni sulle cause non imputabili a malattie ma, appunto, a quelle esterne.
Le tavole 2.34 e 2.35 del Rapporto Istat citato in nota 1, alle pagine 156-171, riportano i dati completi per tutte le classi e sottoclassi che compongono questa categoria. Esse sono:


La tab. 2 evidenzia l’andamento dei decessi, in termini assoluti, per maschi e femmine:


Già un primo sguardo rivela dati estremamente significativi: le cause esterne hanno rappresentato il 3,8% del totale dei decessi femminili (10.667/281.094) ed il 5,7% di quelli maschili (16.026/279.296).
Essi diventano, per certi versi, inquietanti se andiamo a vedere come si distribuiscono percentualmente al loro interno, in ordine di rilevanza, le dieci principali cause delle morti esterne, per ognuno dei due generi:



La prima causa di morte, tra le cause esterne, per le femmine è rappresentata dalla sottoclasse E880-E888 “Cadute accidentali” (61,1%), che è la seconda causa di morte anche per i maschi (25,2%).
Per i maschi, invece, la principale causa di morte sono gli incidenti stradali (sottoclasse E810-819), con 5.535 decessi (34,5%), che sono invece la seconda causa di morte per le femmine (1.540, pari al 14,4%).
Drammatica è la terza causa di morte che – sia per i maschi che per le femmine - è rappresentata dal suicidio. Nel 2002, sono 3.145 maschi (19,6% dei casi tra le cause esterne) che si sono tolti la vita, 924 le femmine (8,7%).
La sottoclasse E960-E969 evidenzia i decessi per “Omicidio e lesioni provocate intenzionalmente da altri”. Questa classe è di particolare importanza, perché è solo in essa che possono rientrare le morti per violenza, sia per maschi che per femmine[5]. Particolarmente significativa, dunque, perché in grado di dirci qualcosa di preciso sulla violenza – o almeno gli omicidi - “di genere”.
Nel 2002 sono state 560 le persone uccise volontariamente da un’altra persona, 401 maschi 71,6%) e 159 femmine (28,4%). Non sono disponibili dati ufficiali Istat sugli autori dell’atto criminoso. Dati più recenti parlano di meno di 7 omicidi su 10 compiuti da maschi e di più di 3 su dieci compiuti da femmine[6].
La morte per omicidio o per lesioni volontarie rappresentava dunque, nel 2002, la settima causa di morte per gli uomini e l’ottava per le donne, ovviamente all’interno della sottoclasse delle cause esterne e con un dato sensibilmente più drammatico per i maschi.

5. Violenza di genere?

Dai dati riportati (ripetiamo, gli ultimi ufficiali a disposizione), risulta assai arduo - non diciamo confermare, ma neppure - comprendere, l’asserzione - infinitamente ripetuta su tutti i media - secondo la quale, in Italia, saremmo di fronte ad una massiccia e spaventosa violenza di genere, esercitata dal sesso maschile verso quello femminile, per la quale qualcuno è giunto a parlare di “femminicidio”[7].
Anzi, a voler ben vedere, sembra che se esiste una violenza di genere essa sia di tipo autoreferenziale ed autopunitiva, ossia dei maschi verso il proprio stesso genere, come dimostra il drammatico dato dei suicidi maschili, che rappresentano la terza causa di morte, dopo gli incidenti e le cadute accidentali (per la maggior parte, si può presumere, avvenute sul luogo di lavoro), nonché il dato relativo agli omicidi (senz’altro compiuti nella maggior parte – ma non esclusivamente! – da maschi), che rappresentano la settima causa di morte, sempre tra quelle dovute a cause esterne.
Si resta dunque esterrefatti di fronte a quella che pare una mistificazione colossale, con pochi precedenti ed apparentemente senza motivo[8].
Ci si riferisce all'affermazione – ormai entrata nelle orecchie di tutti, si spera non ancora nelle coscienze – che sarebbe la violenza maschile la prima causa di morte delle donne in Italia, come dichiara, ad esempio il manifesto di Rifondazione Comunista, che riportiamo a lato[9].



Ovviamente già il buon senso ci dice che questa affermazione non può che essere pura invenzione, perché, se fosse vera, significherebbe che ci troveremmo a vivere in un mondo da incubo, il che per fortuna ancora non è.
I dati fanno però certo più effetto, perché ci dicono che, nel 2002, sono – purtroppo - morte in Italia, per cause non naturali, quindi per omicidio o in seguito a lesioni causate intenzionalmente da terzi (e non certo tutti uomini), 159 femmine.
Se isoliamo questo dato e lo mettiamo in rapporto ai dati riportati in tabella 1. significa che - grazie a Dio – la violenza, almeno in Italia, è l’ultima tra le cause di morte delle donne, con un indice dello 0,05% (159/281.094), mentre le prime - come detto e a distanza abissale - sono le malattie del sistema circolatorio seguite, come ci si aspetterebbe, dai tumori, con 131.472 (pari al 46,7%) e 69.672 (24,8%) decessi rispettivamente, e quindi da altre patologie e da altre cause esterne.

Si potrebbe obiettare che questo è il dato generale e che esso va letto invece in relazione alla specifica fascia di età 14-50 anni, come sostenuto - oltre che da Rifondazione Comunista e da molti altri - dallo stesso ministro delle Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, che il 3 maggio 2007, durante l’”Evento di presentazione dell’Anno europeo delle pari opportunità per tutti”, ha affermato (e sistematicamente ripetuto in seguito)[10]: C'è un dato, vedete, che inchioda le coscienze. In Europa e in Italia le donne tra i 15 e i 50 anni muoiono più a causa di violenze che per malattie o incidenti. E ciò avviene nella maggior parte dei casi in famiglia o per mano di persone conosciute.
Ripetiamo che, grazie a Dio e come buonsenso suggerisce, non è così.
Se dai dati Istat del Rapporto citato isoliamo, infatti, la fascia di età 15-49 anni, possiamo costruire la tabella seguente, che riporta l’ordine delle cause di morte (per cause esterne), espresse in valori assoluti.


Da essa ricaviamo che – solo per le cause esterne, ed escludendo le malattie, che riporterebbero i dati alle abissali distanze più sopra illustrate – nella fascia di età 15-49 anni sono morte, nel 2002, in Italia 1.449 donne, di cui 85 per omicidio e a causa di lesioni intenzionalmente provocate (e, ripetiamo, non solo da maschi). Rapportato ancora una volta al numero complessivo dei decessi femminili, otterremmo un indice pari allo 0,03%.
Volessimo anche imputare ad omicidio volontario tutti i decessi per lesioni di cui non si è potuto stabilire il carattere intenzionale o meno (il che, metodologicamente, sarebbe senza dubbio scorretto), arriveremmo comunque a 138 decessi femminili (su un totale di 281.094!).
Per consentire una verifica sui dati, riportiamo di seguito la tabella relativa alle cause di morte per le sottoclassi di età riportate dall’Istat e che vanno a comporre la classe d’età 14-49[11]:

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L’omicidio domestico

Ci resta ancora da trattare un aspetto decisamente drammatico all’interno della questione “morti violente” - o per cause esterne, come vengono normalmente definite - e si tratta del fenomeno degli omicidi in famiglia o, comunque, nella ‘sfera affettiva’.
Accertato che le cause esterne, nel loro complesso, sono ben lontane dall’essere la prima causa di morte sia per uomini che per donne, ne consegue l’ovvia osservazione che tanto meno lo possono essere gli omicidi perpetrati in ambito familiare, essendo questi una sottoclasse di quelle.
Come abbiamo pure osservato, gli ultimi dati Istat a disposizione – fermi al 2002 - non indagano questo fenomeno, e tanto meno consentono un’analisi disaggregata in base agli autori ed alle vittime (oltre che alle cause) di questo grave atto delittuoso.
Su questo aspetto ci è invece di grande ausilio una ricerca del 2005, ossia il Rapporto Eures–ANSA che, nel capitolo 3, esamina in maniera approfondita e metodologicamente impeccabile proprio “L’omicidio in ambiente domestico e nella sfera affettiva”[12].
La prima osservazione che riprendiamo dal Rapporto è quella a pag. 60, che ci dice che “nell’ultimo biennio (2003-2004), pur non modificandosi sostanzialmente le dimensioni del fenomeno, si assiste ad una tendenza decrescente, e la famiglia, primo ambito omicidiario negli ultimi anni, perde nel 2004 tale primato ad opera della criminalità organizzata”.
Ma quali sono le dimensioni del fenomeno omicidiario in famiglia?
In termini generali il Rapporto Eures ci dice che: “Rispetto al 2003, si registra una sostanziale diminuzione sia nel numero di eventi che in quello delle vittime: si è passati da 201 vittime nel 2003 a 187 nel 2004 (-7%)”.
Questo il dato complessivo, dunque, relativo al 2004, sugli omicidi domestici: 187 vittime.
Riguardo al profilo della vittima “l’incidenza delle vittime di sesso femminile si attesta nel 2004 sul 68,4% (128 in termini assoluti) ... contro il 31,6% degli uomini (59 in valori assoluti)” (pag. 63).
Ecco quindi il secondo dato: nel 2004 sono state uccise in famiglia 128 femmine e 59 maschi.
Resta da vedere come si distribuiscono autori e vittime all’interno di questi dati. Ciò è illustrato nella tabella 21, a pag. 76, del Rapporto Eures-ANSA, che qui di seguito riportiamo:


La tabella 5 ci fornisce, dunque, un primo quadro sufficientemente chiaro di questo drammatico fenomeno. Essa ci dice che, nel 2004, i 187 casi di omicidi accaduti in ambiente domestico o nella ‘sfera affettiva’, si sono ripartiti come segue:
· Maschi uccisi da maschi: 38
· Maschi uccisi da femmine: 21
· Femmine uccise da femmine: 14
· Femmine uccide da maschi: 114
Questi dati - ripetiamo, certo drammatici - non consentono, a nostro avviso, come invece fa il Rapporto, di considerare “il conflitto di genere come elemento irrinunciabile per la comprensione delle ragioni e delle caratteristiche della violenza estrema all’interno della famiglia” (pag. 76).
Da un lato perché siamo di fronte a valori assoluti fortunatamente contenuti rispetto alle cause di morte generali e a quelle per cause esterne; dall’altro perché ancora nulla sappiamo sul movente e gli altri elementi di contesto (come li chiama il Rapporto) degli eventi delittuosi.
Analizzando i dati della tabella 27 del rapporto (pag. 81), che di seguito riportiamo integralmente, vediamo che tra le cause degli omicidi domestici troviamo i più diversi moventi: dai motivi passionali, ai disturbi psichici, agli interessi economici, ai futili motivi, al disagio della vittima, all’infanticidio, alla difesa della vittima principale, ecc.:


Come dicevamo, si tratta di moventi molto diversi, dai quali è difficile ricavare una lettura univoca. Significativo il numero degli omicidi in famiglia per disturbi psichici dell’autore (24), o quelli per futili motivi (18) e degli infanticidi (da un caso del 2003 a 6 casi nel 2004): tutti moventi per il quale risulta per lo meno forzata – se non del tutto ingiustificata dai numeri assoluti - una lettura “di genere”.
Lettura resa tanto più inadeguata dall’emergere di nuovi fenomeni, segnalati dallo stesso Rapporto Eures, quali: l’alta percentuale di vittime, tra le femmine, con una età superiore ai 64 anni (pag. 64), il più alto numero di vittime di sesso maschile nella fascia 25-34 e 45-54 anni (pag. 65), l’elevato numero di vittime nelle categorie definite “a rischio di esclusione sociale” (pag. 67), l’aumento dei casi derivanti “principalmente da situazioni di separazione non accettate” (pag. 69), il “cambiamento negli ‘equilibri’ tra genitori e figli nell’ambito degli omicidi domestici: nel 2004 sono infatti i figli ad uccidere i genitori in misura superiore al contrario” (pag.70).

Più rispondente alle caratteristiche dei dati, pare l’interpretazione - del resto suggerita dallo stesso Rapporto Eures - nel senso di una profonda crisi, caratterizzata da innumerevoli sfaccettature, della famiglia, che oggi più che mai “sembra manifestare disagio, conflitto e malessere, mostrandosi incapace di rispondere alle aspettative materiali, psicologiche e affettive che essa stessa produce” (pag. 59).
Inoltre, quattromila suicidi all’anno (ogni anno!), tra maschi e femmine, sono un dato che dovrebbe far riflettere su uno stato di malessere sociale diffuso, così come non più tollerabile dovrebbe risultare l’interminabile catena di morti per incidenti domestici, stradali e sul lavoro, al di là dell’indignazione di rito.

Forse è su queste autentiche emergenze che bisognerebbe ragionare, ed intervenire, magari anche dirottando almeno parte degli ingentissimi investimenti destinati a campagne dal sapore prettamente ideologico e che contribuiscono a creare un allarme sociale ed una percezione di insicurezza e di rischio sproporzionate, se rapportate alle reali dimensioni di un pur drammatico fenomeno.

Note:
1 Sistema Statistico Nazionale. Istituto Nazionale di Statistica. Cause di morte 2002, Annuario n. 18, Roma - ISTAT, 2007
http://www.istat.it/dati/catalogo/20070405_00/ann_07_18_cause_di_morte_2002.pdf
2 Tab. 1.2, pag. 14-16.
3 Bilancio demografico anno 2002 e popolazione residente al 31 Dicembre – Italia.
http://demo.istat.it/bil2002/index.html
4 Tab. 1.2, pag. 15-16, del Rapporto Istat citato.
5 In realtà dei casi di morte violenta per cause intenzionali, potrebbero trovarsi anche nella classe E980-E989. In essa ricadono, infatti, le occorrenze per le quali non è stato possibile individuare se le lesioni che hanno portato al decesso sono state di tipo intenzionale o accidentale. Risulta quindi impossibile trattarle, anche se varrà la pena rilevare come, anche per questa sottoclasse, le morti maschili sopravanzano di molto quelle femminili (537 contro 278).
6 Vedi il Rapporto Eures–Ansa di cui si parlerà più avanti.
7 Violenza sulle donne: la strage delle innocenti. La Repubblica.
http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/violenza-donne/violenza-donne/violenza-donne.html
8 Ma alcune indicazioni riguardo alle reali motivazioni si possono ricavare dal volume di Alessandra Nucci: La donna ad una dimensione: femminismo antagonista ed egemonia culturale. – Genova - Marietti, 2006.
9 Una ricerca in Google con la stringa: "prima causa di morte per le donne" violenza, dà il giorno 12 dicembre 2007 2750 risultati.
10 http://www.profilodonna.com/parita/giugno-07/default.asp
11 Tab. 2.35 del Rapporto Istat, pag. 166-170
12
http://servizi.psice.unibo.it/uploads/comn_nlfpkgnsjjdwjvbizhacpjifonyjvy.pdf


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