Dott.ssa in Psicologia Reena Sommer (dati biografici a fondo pagina)
Università di Manitoba
Copia relazione presentata alla Conferenza per la Libertà della Donna
Washington D.C. 14-15 ottobre 1995
Durante gli ultimi otto anni mi sono occupata di studiare la violenza domestica. Il mio interesse per questo argomento era nato dalla mia preoccupazione per la violenza contro le donne.
Inizialmente, il mio studio sulla violenza si era focalizzato sulla violenza e sugli abusi perpetrati dagli uomini. Il mio senso di curiosità mi portò a mettere in dubbio ciò che credevo essere l'essenza dell’abuso domestico ed indagai la presenza di abusi commessi da donne. Molto sorpresa, scoprii che anche le donne abusavano dei loro partner di sesso maschile, con tassi equivalenti agli uomini. Questi risultati mi portarono ad esaminare questo assunto in altre ricerche, e di nuovo trovai sorprendentemente che i miei risultati non erano un'anomalia, ma avevano un notevole riscontro.
I risultati di queste ricerche, con tassi di abusi simili per entrambi, maschi e femmine, hanno originato cospicue controversie: una spaccatura all'interno della ricerca sulla violenza domestica riguardo al modo in cui i ricercatori hanno condotto le loro indagini. Da un lato, vi è l'approccio unilaterale di abusi domestici sostenuto dalle femministe. Esse considerano la violenza domestica come la violenza che le donne subiscono dagli uomini, dove l'abuso è percepito come una variabile dicotomica (abuso/non-abuso), e visto unicamente nelle sue forme più severe. D'altra parte, sociologi e studiosi della famiglia considerano la violenza domestica come una violenza di genere neutro, senza distinzioni di sesso, e verificata lungo ad un continuum graduato in una scala che oscilla dal 'senza abuso' ad un estremo, all’abuso molto grave all’altro.
Vorrei affrontare questa polemica offrendo prima di tutto uno scenario di come le divisioni nello studio della violenza domestica si sono sviluppate, per poi discutere le questioni metodologiche e pratiche che hanno contribuito a questa divisione.
Molto prima che il primo studio sulla violenza all'interno della famiglia fosse realizzato nei circoli accademici - in realtà non molto tempo fa, circa 32 anni fa - quel che succedeva all'interno della famiglia era inteso in maniera molto diversa da quanto accada oggi. Allora, i problemi della famiglia erano considerati affari privati dei diretti interessati e di nessun altro. Questo non vuol dire che il mondo esterno era completamente ignaro dei problemi che alcune famiglie sperimentavano. Al contrario, i problemi delle famiglie erano spesso molto evidenti, tuttavia essi erano definiti in modo diverso da oggi e visti come problemi che dovevano essere risolti senza interferenze esterne.
Sono sicura che quelli di noi abbastanza vecchi da ricordare quei tempi, e anche quelli troppo giovani per ricordare quell'epoca, ricorderanno o avranno sentito delle storie di famiglie i cui bambini non erano adeguatamente nutriti, né puliti, né mandati a scuola con vestiti abbastanza caldi. C'erano anche delle storie di mariti e mogli che litigavano un po’ troppo e le cui case erano piene di suoni di urla, grida e oggetti che colpivano le pareti. Possiamo ricordare dei mariti che erano etichettati come villani e delle mogli che erano etichettate come delle “galline che beccano”, perché non trattavano i rispettivi coniugi con il rispetto o la considerazione che meritavano. Possiamo anche ricordare delle storie di anziani rinchiusi nelle loro case, senza poter adeguatamente prendersi cura di se stessi, mentre i loro figli venivano di rado a far loro visita, per pochi minuti ogni volta. Mi permetto di suggerire che quando riflettiamo su queste storie, la nozione del maltrattamento non attraversa le nostre menti. Invece pensiamo, probabilmente, a famiglie molto sfortunate e siamo grati che queste cose non siano proseguite nelle nostre famiglie.
L'esplosione della ricerca sulla violenza in famiglia, nonché il lavoro svolto dal movimento delle donne, ha ridefinito non solo il modo in cui pensiamo alle violenze familiari, ma il nostro approccio alle questioni familiari in generale. Nel corso degli ultimi tre decenni, la famiglia è stata messa sotto il microscopio delle scienze sociali ed è stata esaminata in molti modi diversi. Abbiamo imparato a conoscere la divisione del lavoro all'interno delle famiglie, diverse pratiche di allevamento infantile e di stili di vita alternativi, per citarne solo alcuni aspetti. Quel che una volta era considerato un fastidioso problema, ma privato, ora nelle sue varie forme è definito abuso, ed è soggetto al controllo di numerose agenzie sociali. Nel caso della violenza domestica, questa tendenza a “deprivatizzare” la famiglia, a renderla res publica, è stata positiva sotto molti aspetti, ed ha portato alla tutela di coloro che non potevano difendersi. Oggi abbiamo delle linee guida molto severe per la denuncia e la gestione di casi di abusi sui minori e, in molti stati degli Stati Uniti e nelle province canadesi, sono attualmente in vigore normative riguardanti la protezione degli anziani.
Venticinque anni fa, il problema degli abusi sulle mogli era praticamente trascurato dalle comunità di ricerca legali, mediche e sociali. Fino a quel momento, le donne imprigionate in rapporti con maltrattamenti erano lasciate a soffrire in silenzio, senza nessun luogo dove poter rivolgersi per chiedere aiuto o comprensione. Scarso sostegno era fornito dalle stesse famiglie, a causa della forte aderenza al concetto di "finché morte non vi separi". Gran parte del merito della crescente conoscenza pubblica della violenza domestica sulle mogli è da attribuire al movimento delle donne che, attraverso il suo instancabile impegno, ha portato la questione della moglie maltrattata in primo piano. Oggi, il maltrattamento della moglie è stato identificato come la dimensione più importante della violenza in famiglia. In effetti, gli sforzi delle lobby di donne hanno avuto tanto successo che la questione degli abusi sulle mogli ha preso il sopravvento su altri problemi sociali come la povertà, l'alcolismo e la disoccupazione.
Tuttavia, la lobby per la protezione delle donne è andata a scapito della tutela di altri familiari a rischio di abuso. In alcuni ambiti della cultura pubblica e dei media, nonché della cultura legislativa, la violenza contro le donne commessa dagli uomini ha letteralmente bandito il riconoscimento di altre forme di violenza familiare, compresa la violenza perpetrata da donne contro altre donne (sorelle, figlie, madri e partner lesbiche), contro i bambini, e anche contro i propri partner di sesso maschile ed i padri anziani. Particolarmente degna di nota è la ricerca che segnala le donne come autrici di abusi sessuali in una percentuale compresa fra il 3% e il 13% del totale. La ristretta visione della violenza domestica, in cui le donne sono vittime e gli uomini autori, è costruita sul modello patriarcale che concettualizza l'abuso come il risultato dei manifesti tentativi degli uomini di dominare le donne. Questo quadro concettuale sostiene che gli uomini sono socializzati alla violenza, condotta supportata da molte delle nostre istituzioni sociali, in particolare dall'istituzione del matrimonio. Le scrittrici femministe sostengono che la violenza degli uomini è diffusa e normale, e alcune si sono spinte fino a mettere sullo stesso piano la violenza contro le donne e la guerra nella giungla.
Al centro del dibattito sulla violenza in famiglia si trova l'argomento su chi sia la più grande vittima. Le femministe vorrebbero farci credere che le donne sono senza dubbio la stragrande maggioranza di vittime e che gli uomini sono la stragrande maggioranza degli autori, anche a costo di inventare dati, argomentazioni illogiche, e di sopprimere dati empirici che smentiscono questa posizione. È stato suggerito che le femministe abbiano paura che si devii l'attenzione verso altre forme di violenza domestica, ostacolando ciò che loro percepiscono come il problema più grave: l’abuso delle mogli. In altre parole, si ritiene che, condividendo i riflettori di 'vittima' con gli uomini, i fondi per la promozione ed i rifugi delle donne saranno dirottati verso i bisogni degli uomini e di altre forme di maltrattamenti . È invece chiaro per me che una visione globale della violenza nelle famiglie - e in particolare l'abuso del coniuge – inteso come un problema molto più grande di quanto lo sia stato finora, potrebbe apportare più fondi da destinarsi a programmi di maltrattamento domestico, che riconoscano il ruolo di entrambi i partner. Tali fondi potrebbero essere utilizzati per apportare soluzioni a lungo termine, lavorando con le coppie e le loro famiglie, invece delle attuali strategie di aiuto esclusivo che offrono rifugio unicamente alle donne.
Solo recentemente si è incominciato a mettere in discussione - da parte di accademici, funzionari governativi, media ed opinione pubblica - la versione dominante che vuole la vittimizzazione delle donne a causa degli uomini. Sempre più spesso appaiono nei nostri giornali notizie di donne che aggrediscono i loro familiari.
Nonostante la storia di Susan Smith abbia scioccato la nazione, una lettura degli articoli di giornale rivela che ella non è stata la prima donna a danneggiare i suoi figli. Eppure, gli esempi di violenza commessi da donne sono continuamente archiviati come eventi rari, mentre gli esempi di violenza commessi dagli uomini sono elevati a simbolo della loro innata costituzione violenta. Di conseguenza, le sfide per cambiare l’interpretazione del modello patriarcale, come causa dell’abuso sulle mogli, non sono state ben accolte dai sostenitori del movimento delle donne, ed infatti sono state etichettate come "reazione " nella lotta alla violenza contro le donne.
La controversia sulla rilevanza della posizione femminista sulla violenza domestica è stata messa in discussione solo da alcuni accademici. Le sanzioni inflitte a chi critica l'ideologia femminista sono diverse e in ogni caso gravi. Si va dagli attacchi personali, quali chiamate personali e diffusione di dicerie malevole, alle minacce alla carriera universitaria, alle minacce ai propri familiari. Per questo motivo, molti accademici sentono che il prezzo da pagare per parlare è troppo alto. D'altra parte, quelli che hanno sfidato le conseguenze ed hanno parlato, hanno guadagnato l'attenzione del pubblico e dato delle buone motivazioni a molti per ripensare quanto finora era diventato verità inoppugnabile nella coscienza della società. Coloro che hanno osato mettere in discussione la miope, unilaterale visione della violenza domestica, si sono vivamente impegnati a portare alla ribalta pubblica la violenza perpetrata dalle donne, una violenza nascosta come lo era stato il maltrattamento delle mogli 20 anni fa.
Voglio cambiare indirizzo della trattazione e parlare ora di aspetti specifici. Mentre vi sono molte statistiche ufficiali, referti del pronto soccorso e aneddoti dai rifugi, a sostegno dell’asserzione che le donne sono molto spesso gravemente maltrattate da parte dei loro partner maschi, quest'asserzione in alcun modo: 1) descrive la condizione di tutte le donne nella società, e 2) affronta la questione dei maltrattamenti subiti dagli uomini, realtà evidenziata da numerose indagini effettuate su vasti campioni della popolazione.
Rispetto al primo punto, riguardante l’estensione dei risultati all’intera popolazione, comincerò segnalando che dobbiamo ricordare che i casi descritti dai referti clinici forniti dalle fonti ufficiali (il rifugio, la polizia e gli ospedali) riflettono i casi portati all’estremo finale della violenza domestica. In altre parole, questi sono gli esempi più gravi di abusi domestici. D'altra parte, le indagini condotte su campioni casuali di uomini e di donne in una popolazione non selezionata, che presentano tassi simili di violenza fra uomo e donna, metterebbero in risalto un maltrattamento che sarebbe relativamente meno grave. Con questo intendo dire, che i comportamenti messi in atto durante gli episodi di maltrattamento hanno una minore probabilità di produrre gravi lesioni. Ciò è confermato dai bassi tassi di lesioni riportate.
Gran parte della confusione nel dibattito sull'opportunità o meno di considerare le donne le uniche vittime della violenza del maschio s’incentra sulle fonti dei dati usati per contabilizzare i casi di maltrattamento. Per risolvere questo dibattito, dobbiamo cominciare a chiederci: "Perché le donne oscurano gli uomini nei rapporti su casi di grave maltrattamento?" Sulla base delle informazioni che inondano i media, la risposta più ovvia sarebbe "perché così stanno le cose: queste statistiche rispecchiano la realtà". Tuttavia, c'è una spiegazione alternativa, che sarebbe: "le donne oscurano gli uomini nei rapporti sui gravi maltrattamenti domestici perché le fonti da cui si raccolgono questi dati non rispecchiano adeguatamente i casi dei maschi maltrattati". Pensateci, quanti uomini maltrattati possiamo aspettarci di trovare nei rifugi per le donne maltrattate?
Si potrebbe obiettare che le statistiche di polizia e del pronto soccorso non hanno evidenziato un gran numero di vittime di sesso maschile di violenza domestica. Come si spiega? La mia risposta è: "guardate le città che hanno avviato delle politiche di abusi domestici a tolleranza zero". Se si confrontano le statistiche degli arresti uomini/donne anteriori all'avvio di questa politica con quelle attuali, si troverà senza dubbio che la forbice degli arresti maschio/femmina si sta rapidamente chiudendo. In realtà, nella mia città di Winnipeg, Manitoba, il numero degli arresti di femmine sta crescendo, in percentuale, molto più velocemente del numero di arresti di uomini. Purtroppo, i dati del pronto soccorso non sono così convincenti, visto il ridotto numero di uomini che imputa al maltrattamento domestico la causa delle ferite riportate. Tuttavia, sulla base di relazioni aneddotiche degli uomini feriti, molti dicono di mentire, spesso perché temono di non essere creduti.
La conclusione è che non abbiamo una popolazione clinica comparabile degli uomini maltrattati. Adeguati confronti non possono essere ancora fatti clinicamente fra maschi e femmine maltrattati, né il confronto dei danni subiti può essere adeguatamente affrontato senza una popolazione parallela di uomini maltrattati. Fino ad allora, le motivazioni del maltrattamento ed i suoi fattori associati, all'interno della popolazione ad alto rischio, rimangono irrisolti.
Attualmente, qualsiasi valido confronto fra i maltrattamenti di maschi e femmine dovrebbe essere limitato alle ricerche condotte su campioni casuali della popolazione generale o campioni mirati estratti da diverse fonti, tra cui i gruppi in terapia. Purtroppo, questo avviene raramente e non viene certo pubblicato dai media.
Rispetto all’altro punto concernente il maltrattamento subito dagli uomini - lo ripeto nuovamente - vi è ampia evidenza empirica suffragante la condivisione dei ruoli tanto di vittima come di autore di violenza fra uomini e donne nella popolazione. Il maltrattamento domestico non è solo una questione che riguarda la donna in quanto vittima. Eppure, la nozione che l’unica vittima della violenza domestica sia la donna persiste. In aggiunta a quanto ho già detto, la vittimizzazione della donna a causa della violenza maschile è argomentata dalla maggiore forza fisica relativa degli uomini sulle donne, nonché dall’uso che le donne fanno della violenza motivata solo dalla autodifesa.
Le ricerche di Straus e di altri colleghi hanno dimostrato che un numero simile di uomini e donne avviano episodi di abusi domestici. Perciò l'autodifesa non può probabilmente essere ritenuto un fattore in questi casi. La mia ricerca fa un passo avanti chiedendo senza mezzi termini "l’abuso è stato commesso per legittima difesa?". I risultati rivelano che solo il 9,9% delle donne e il 14,8% degli uomini ha dichiarato di aver agito la violenza in autodifesa nel corso dell'anno precedente al sondaggio. In altre parole, per la stragrande maggioranza di uomini e di donne, l'abuso perpetrato era stato commesso per ragioni diverse dalla autodifesa.
Ad oggi, non ci sono dati che tengano conto dell’altezza e del peso come fattori determinanti nella perpetrazione di abusi domestici. Per questo motivo qualsiasi valutazione della relativa maggiore forza fisica degli uomini come fattore determinante dell’abuso è strettamente speculativa. Anche se intuitivamente ha un senso che una persona di grande statura e maggiore forza abbia il vantaggio in un'aggressione fisica, sarebbe un errore credere che la relativa maggiore forza propria sia l'unico fattore determinante dell’esito di un'aggressione in famiglia. Segnalazioni aneddotiche di uomini abusati rivelano come donne di piccola corporatura possano esercitare paura e intimidazione, minacciando di sottrarre i propri figli, ed altre forme di abuso emotivo, come insulti e svilimento. Sappiamo tutti fin troppo bene che qualsiasi mancanza di forza può essere compensata da un'arma. Il caso di John Bobbitt e Lorena è paradigmatico in questo senso.
La mia posizione rimane quella che non si dovrebbe automaticamente screditare l'altra realtà, che anche gli uomini come le donne possono essere vittime e autori di abusi. Indipendentemente dal nostro genere, tutti noi siamo membri della stessa specie umana, con lo stesso innato istinto di fuga o di lotta. Ognuno di noi ha l’attitudine a reagire violentemente se si produce l’opportuno insieme di circostanze. Ciò che la letteratura in materia di abusi domestici ci ha mostrato è che c’è una notevole variabilità nei fattori scatenanti le reazioni violente nei conflitti coniugali. Alcuni dei maltrattanti sono spinti dallo stress, mentre altri lo sono dall’alcool, dalla disoccupazione, dal retroscena familiare o dalla limitata capacità di gestire situazioni. Nella maggior parte dei casi, è una complessa combinazione e interazione di questi fattori a predisporre uomini e donne ad usare la violenza per risolvere i conflitti nelle loro relazioni intime. Il lavoro di ricerca è quello di identificare questi fattori scatenanti ed essere in grado di prevedere con precisione chi è più vulnerabile e in quali circostanze. Una volta compiuta l’analisi, la strada per un intervento efficace può essere a portata di mano.
Voglio concludere questo discorso facendo un appello all'onestà nelle future discussioni in materia di abusi domestici. Da donna che è profondamente preoccupata per il benessere di tutte le donne, non posso fare a meno di essere frustrata dai tentativi di risolvere l'abuso, che molte donne soffrono, chiudendo un occhio sulle altre donne che infliggono gravi abusi fisici ed emotivi sui loro cari. Negando questo aspetto della vita di molte donne, facciamo ben poco per aiutare le donne a far fronte ai fattori stressanti della vita, o ad aiutarle a sviluppare rapporti intimi più soddisfacenti. Nei nostri sforzi per migliorare la vita di tutte le donne, è necessario per noi riconoscere tutti gli aspetti della loro realtà. Più dannosa per l'immagine della donna risulta addirittura l'etichetta auto-imposta di 'vittima'. In questo modo, ci neghiamo il potere di autonomia che abbiamo a lungo cercato. Finché le donne sottoscrivono la nozione di vittima universale, non potranno mai sperimentare la libertà, che va di pari passo con il controllo sulle proprie vite.
La verità è che, grazie al Cielo, non siamo tutte vittime. La ricerca ci mostra che fra l'89% ed il 97% delle coppie non rivelano alcuna violenza nel corso dell'anno precedente alle indagini condotte. Alla luce di questi risultati, sembra che sarebbe più opportuno esaminare i fattori associati alle donne che si sono risollevate dall’abuso ed hanno introdotto cambiamenti positivi nella propria vita, invece di concentrarsi continuamente sul ristretto insieme di donne che non hanno potuto liberarsi dalle relazioni estremamente violente. Un approccio di questo tipo può fornire l'intuizione necessaria per aiutare chi è ancora alle prese con relazioni violente. Se non lo facciamo per noi stessi, allora dobbiamo pensare ai nostri figli e fare ciò che è necessario per migliorare la loro vita. Dal momento che l'abuso domestico è spesso tramandato da una generazione alla successiva, l'unico modo possibile per proteggere il futuro dei nostri figli è quello di fermare l'abuso che loro vivono e sperimentano nella loro vita di oggi. Leviamoci i nostri paraocchi del 'politicamente corretto' e vediamo il problema della violenza domestica per quello che realmente è. L’abuso domestico riguarda e interessa tutti i membri della famiglia!
Traduz. per CDVD a cura di Santiago G.
Dati biografici:
http://www.solutions4pas.com/PASprofile.html
Dr. Reena Sommer is a divorce and custody consultant with expertise in high conflict custody disputes. She has provided expert testimony in courts in Canada and the U.S.A.on issues related to parenting, custody, child protection, the Parental Alienation Syndrome and domestic violence.
Dr. Sommer received her doctoral degree in psychology, family studies and sociology from the University of Manitoba in 1994. In 1992, she became internationally known for her work in domestic violence and received scholarly accolades and awards for her contributions to research in this area. At that time, Dr. Sommer spoke out against "Zero Tolerance" policies of domestic violence; policies that are now being reviewed for the flaws that she had identified.
Since that time, Dr. Sommer has written extensively on issues relating to violence in the family, addictions & codependency. She also has a number of publications on divorce and custody which are available online. As her career progressed, Dr. Sommer's interest in high conflict relationships led her toward developing expertise in the areas of divorce, custody and the Parental Alientation Syndrome. This was preceded by taking training in the assessment and treatment of parental alienation syndrome under Dr. Richard Gardner with whom she remained in close contact until his death in May 2003.
Dr. Sommer has been an invited speaker to academic, government and lay audiences in Canada and the U.S. In May, 1998, Dr. Sommer was invited to testify before the Joint Senate-House of Commons Committee on Custody and Access. More recently in April 2002, she was invited once again by the Canadian government to participate in a panel of experts from Canada and the United States to revisit the findings of the Joint Senate-House of Commons Committee. Over the years, Dr. Sommer has been repeatedly called upon for commentary by the media on issues relating to divorce, custody and domestic violence. She has been interviewed by major U.S. and Canadian newspapers, Readers' Digest, Chatelaine Magazine, C.B.C. and C.T.V. local and national News and numerous radio stations in the U.S. and Canada.
Dr. Sommer maintains an office and "virtual" practice accessible through the Internet where she consults with attorneys, mental health professionals, and parents in Canada, the U.S. and as far away as India and Australia on matters relating to divorce, child custody, family reunification, domestic violence and the Parental Alienation Syndrome. A major thrust of her work is in the area of separation and divorce and assisting divorcing couples explore options in restructuring their lives so that their children's interests and needs are protected.
Dr. Sommer is guided by the belief that children should not be denied a relationship with their parents simply because their moms and dads decide to divorce. In her capacity as a divorce and trial consultant. Dr. Sommer helps families redefine and restructure themselves during the divorcing process so that children and parents can maintain a positive connection with each other.
Dr. Sommer is married to Dr. Michael Thomas, a clinical psychologist who is also one of her associates, Together, they have five children.
For more information EMAIL Dr. Sommer directly
Dr. Reena Sommer,
M.Sc. (Family Studies),
Ph.D.(Psychology & Family Studies)
Divorce & Custody Consultant
located in League City, TX.
281.534.3923
No charge for an initial brief consult
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