18 aprile 2010

La violenza familiare costituisce una tipologia di reato in costante espansione, complesso da analizzare in quanto la tendenza degli autori a contenere gli episodi entro le mura domestiche incontra frequentemente la connivenza più o meno passiva della stessa vittima.
Siamo pertanto in presenza di un fenomeno sommerso, del quale non è facile tracciare i contorni.
Una conoscenza approfondita del fenomeno nel suo insieme, tuttavia, è essenziale per lo sviluppo delle politiche e dei servizi necessari, a partire dalle campagne di sensibilizzazione per arrivare alle contromisure legislative finalizzate a prevenire e/o contenere la violenza.
Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che analizzano la violenza di cui è vittima la figura femminile vengono proposte con continuità a livello istituzionale e mediatico, da diversi decenni.
Di contro, non esistono in Italia studi ufficiali a ruoli invertiti; vale a dire approfondimenti sulla violenza agita da soggetti di genere femminile ai danni dei propri mariti o ex mariti, partners ed ex partners, altri parenti di vario grado.
Questa curiosa e pluridecennale lacuna può avere origine da due presupposti:

  1. aggressività e violenza femminile non esistono;
  2. se esistono, sono legittimate; pertanto non è interesse della collettività studiare alcuna misura di prevenzione e contenimento.

Entrambi i presupposti sono, evidentemente, paradossali.

La Fe.N.Bi. ha realizzato un’indagine che si pone come obiettivo prioritario la conoscenza del fenomeno della violenza familiare subita dagli uomini separati ad opera delle loro partners e/o ex partners, in tutte le sue forme: violenza fisica, psicologica, sessuale ed economica.
La restrizione del campo d’indagine agli uomini coinvolti nella separazione costituisce indubbiamente un limite.
Il campione non prevede uomini single ne’ uomini in costanza di matrimonio o convivenza, per un motivo estremamente semplice: si tratta di un campione spontaneo, vale a dire composto dai soggetti che si sono rivolti allo sportello di ascolto, in totale assenza di scelte da parte della Federazione.

Questa prima parte dell’indagine si propone di rilevare e descrivere:
l’estensione e le caratteristiche del fenomeno della violenza intrafamiliare di cui sono vittime gli uomini separati;

  • la dinamica e le peculiarità dei diversi episodi di violenza all’interno della coppia separanda/separata;
  • il periodo in cui si è verificata la violenza, ovvero in costanza di matrimonio o convivenza, e successivamente alla separazione o al divorzio;
  • le caratteristiche delle vittime, la loro reazione all’episodio di violenza e le conseguenze fisiche, psicologiche ed economiche che hanno subito;
  • i contesti in cui queste violenze si verificano;
  • l’incidenza del sommerso, ovvero i motivi per cui esse vengono denunciate in percentuale irrilevante rispetto al totale degli episodi verificatisi;
  • i costi sociali della violenza, riconducibili direttamente e indirettamente alla vittima e alla collettività, misurati attraverso alcune ricadute negative come l’impossibilità della vittima di condurre le normali attività quotidiane, l’utilizzo dei servizi sociali e sanitari, o i costi sostenuti per far fronte ai danni correlati.

TECNICA DI INDAGINE

L’indagine è stata condotta elaborando le dichiarazioni degli uomini separati/separandi che si sono rivolti agli sportelli di ascolto della FENBI, incrociando le dichiarazioni con i dati rilevabili dalla documentazione giudiziaria ed amministrativa disponibile.
L’indagine è stata svolta su un campione di 858 uomini che hanno contattato la struttura nel periodo dicembre 2006 - giugno 2008.
La fascia di età del campione in esame è compresa tra i 26 ed i 59 anni.

All’ascolto dei casi, alla raccolta e all’elaborazione dati hanno collaborato 8 operatori(1).
La tematica particolarmente delicata ha richiesto una specifica attenzione a tutti gli elementi delle dichiarazioni, ampliando quanto più possibile la comprensione attraverso l’intervista libera.
Tale modalità di intervista ha richiesto una fase di progettazione accurata al fine di

  • definire e meglio comprendere i contenuti oggetto di analisi;
  • far emergere le diverse tipologie di violenza: fisica, psicologica, sessuale, economica;
  • individuare i fattori di rischio, le conseguenze, il contesto socio-culturale e gli stereotipi della violenza;
  • limitare una possibile sottostima del fenomeno, determinata dalla difficoltà delle vittime a riconoscersi come tali e dal non aver maturato una consapevolezza riguardo alle violenze subite.

Le interviste sono state svolte in due steps successivi:

  • la fase catartica peer to peer;
  • la fase di approfondimento con il supporto psicologico e legale di professionisti.


Gli episodi di violenza rilevati dalle dichiarazioni degli intervistati sono stati suddivisi in tipologie così come percepite dai medesimi, e classificati in base agli indicatori elencati nelle tabelle.
Le categorie Convivenza e Post Separazione indicano la fase in cui il soggetto ha subito episodi di violenza: rispettivamente in costanza di matrimonio/convivenza anche durante la crisi di coppia, e dopo l’avvio del procedimento legale di separazione/affido dei figli minori.
La categoria Abitazione è riferita esclusivamente all’abitazione coniugale o di convivenza, mentre Altrove indica qualunque altro luogo anche aperto (locale pubblico, strada, giardino), inclusa la nuova abitazione della vittima dopo la separazione.
Alcune tabelle non riportano il totale percentuale poiché i dati non sono aggregabili: i singoli soggetti sono stati vittime di molteplici episodi di diversa violenza in diverse circostanze, in contesti diversi, alla presenza dei figli, di terze persone (parenti, colleghi, amici, passanti sconosciuti), dei figli e terze persone contemporaneamente, o anche in assenza di testimoni.


A - La Violenza Fisica

Gli episodi di lieve e media gravità non vengono percepiti dai soggetti come reato: pertanto non vengono mai denunciati, e solo raramente confidati ad altri familiari, amici, colleghi. Prevale un sentimento di vergogna ed umiliazione, il dubbio di non essere creduti o la derisione per non essere considerati in grado di gestire le relazioni familiari attraverso l’imposizione di autorità.
Solo il 5% degli episodi di maggiore gravità - percepiti dal soggetto come pericolo per la propria vita e/o per i figli - viene denunciato alla autorità giudiziaria, in particolare nella fase di crisi della coppia o dopo la separazione. Tali denunce vengono spesso ritirate per arginare la conflittualità della controparte, per ottenere minori limitazioni nella frequentazione della prole, oppure ne viene disposta l’archiviazione.
In un solo caso del campione in esame si registra l’applicazione - a carico della donna/madre - della normativa che prevede l’allontanamento del familiare violento dall’abitazione.
Solo tre casi contemplano la condanna penale - peraltro molto blanda - per l’autrice della violenza.
La maggior parte dei soggetti si limita a difendersi fisicamente.
Chi ha reagito in maniera incontrollata è stato successivamente incriminato per violenze.
L’uomo evita di denunciare, quindi della violenza subita per mesi, in alcuni casi per anni, non c’è traccia in quanto non esiste la volontà di accumulare materiale d’accusa ai danni della ex. Chi invece si preoccupa di costruire una strategia accusatoria provoca la vittima per lungo tempo - nella più completa impunità - per poi precipitarsi in ospedale alla prima reazione del soggetto perseguitato.
La eventuale reazione, quindi, anche se circoscritta ad un solo episodio, ha il potere di capovolgere il rapporto causa-effetto, facendo passare l’uomo/padre dalla condizione reale di vittima a quella mistificata di carnefice.
Lo status di vittima è legato più al genere del denunciante che non all’accertamento cronologico dei fatti.

E’ molto forte la consapevolezza degli stereotipi di genere - in base ai quali la violenza coniugale si declina solo al maschile - ed ha acuito la sensibilità nell’intercettare la strategia provocatoria della partner per sfruttare al meglio tali stereotipi, soprattutto nella fase di crisi pre-separazione.
Ma al tempo stesso ha esasperato la percezione di trovarsi in una trappola, dove qualunque azione diventa un boomerang.
Il 30% dei soggetti, non volendo rispondere fisicamente alle provocazioni, ha preferito sottrarsi alle violenze lasciando l’abitazione, soprattutto nei casi di violenza assistita da parte dei figli.
Il che - pur costituendo una forma di difesa e tutela sia per il soggetto vittima che per i figli - si è poi trasformato in elemento accusatorio nel corso dell’iter giudiziario.


B - La Violenza psicologica

In regime di convivenza la maggior parte dei soggetti percepisce tale violenza come lesiva della dignità personale e del ruolo all’interno della famiglia, tanto come compagno/marito quanto come genitore.
Dopo la separazione, la violenza subita è identificata principalmente come stato di perenne tensione vendicativa/distruttiva, ovvero strumento teso a corrodere la relazione con i figli, essendo la vittima deprivata di controllo e gestione autonoma della relazione stessa.
I figli vengono prevalentemente affidati alla madre (affido esclusivo), o collocati presso la madre (affido condiviso), per prassi giurisprudenziale consolidata.
Il Mobbing familiare è la reiterazione in ambito domestico delle dinamiche mobbizzanti riconosciute e sanzionate in ambito lavorativo
L’Acting-out giudiziario è la strategia di bombardamento per procura - legittimata poiché non riconosciuta come tale - che utilizza l’apparato giudiziario per costruire false accuse ai danni di vari componenti del nucleo familiare.
I soggetti vittimizzati riferiscono una dominante sensazione di impotenza, sviluppano spesso stati di profonda angoscia arrivando a riferire attacchi di panico nell’aprire la cassetta della posta o nel rispondere al citofono, per timore di vedersi recapitare ulteriori atti che - seppur privi di fondamento - richiedono in ogni caso un iter giudiziario con la relativa difesa legale.
Nei casi di dimostrazione della totale infondatezza delle accuse, non viene sanzionata la parte che presenta querele strumentali. Ciò genera la sensazione di impunità per l’attacco immotivato, legittimando la reiterazione delle false accuse per i capi di imputazione più disparati.
Dal novero della violenza psicologica da acting-out giudiziario sono state stralciate le false accuse legate alla sfera sessuale (falsi abusi denunciati nei confronti della partner e/o dei figli), inserite sotto la voce violenza sessuale.



C - La violenza economica

Altissima la percentuale di uomini-padri che percepiscono come violenza maggiormente lesiva il ricatto posto in essere dalla partner circa lo scambio figli/denaro.
Ovvero - sia in fase di separazione, quindi con la coppia ancora convivente, che a separazione avvenuta - la concessione al proseguimento della relazione padre/figli è proporzionata all’entità del contributo economico e/o ad altri benefici patrimoniali.
La consapevolezza che si tratti di un reato è molto forte, ma al contempo neutralizzata dal riscontro di quanto tale aspetto venga considerato normale nella fase di negoziazione del contesto separativo, essendo l’affidamento/collocamento dei minori alla madre dato per scontato dalla madre stessa e dagli operatori dell’apparato giudiziario.
L’assegnazione ed il godimento legale a titolo gratuito della casa coniugale alla ex moglie o convivente, affidataria/collocataria dei figli minori, viene percepita come una sottrazione da parte del 60% dei soggetti, sia proprietari esclusivi che proprietari in comunione dell’abitazione coniugale.
I genitori allontanati dalla casa infatti, su molti dei quali grava ancora un residuo di mutuo, subiscono un decremento di reddito per la necessità di

  • farsi carico dei costi per una nuova soluzione abitativa
  • onorare i debiti contratti nel periodo precedente alla separazione (mutuo, prestiti, acquisti rateali)
  • provvedere al mantenimento della prole (sempre)
  • provvedere al mantenimento della ex coniuge (nei casi in cui la stessa non goda di autonomo reddito)

Il titolo di assegnazione non incide sul titolo di proprietà dell’immobile: il genitore separato non assegnatario perde l’uso dell’immobile sine die, ma ne conserva gli oneri fiscali ed amministrativi.
Ciò comporta che non possa accedere all’edilizia residenziale pubblica in quanto già proprietario.

Il dato non è compreso nella contabilizzazione delle violenze, in quanto evento determinato dalla prassi giudiziaria, non ascrivibile alla categoria di violenza familiare.
In questo, come in altri aspetti, la violenza è insita nel sistema che regola gli eventi separativi, ottimizzata da chi ne trae benefici.
Nel 65% dei casi in esame, il carico delle spese legali - anche conseguenti l’acting-out giudiziario - ha totalmente prosciugato le risorse del soggetto vittima, costringendolo ad indebitarsi presso parenti e/o terzi.
Il tenore di vita, che subisce un drastico ridimensionamento dopo la separazione, si colloca così a livelli di mera sopravvivenza, talvolta al di sotto di una seppur minima dignità.
Il 37% del campione registra uno slittamento sotto la soglia di povertà, secondo i parametri in uso per la misurazione del welfare nazionale(2).


D - La Violenza sessuale


In questa tipologia vengono inclusi i comportamenti che, pur non avendo caratteristiche di aggressioni fisiche, producono effetti devastanti sulla personalità e sull’equilibrio psico-fisico dell’uomo vittima.
Il radicamento socio-culturale di stereotipi di genere, che stigmatizzano esclusivamente l’uomo come soggetto violento ed abusante, non concede spazi di equa valutazione da parte degli operatori socio-giudiziari chiamati ad intervenire.
Non è culturalmente riconosciuta la vittimizzazione del soggetto maschile per tali tipologie di violenza, pertanto non esiste alcun sistema di prevenzione, sanzione dell’abusante, tutela e sostegno della vittima, ne’ sul piano legislativo-giudiziario ne’ tantomeno sotto il profilo sanitario-psicologico.

La denuncia strumentale di molestia o abuso sessuale sui figli è la pratica di gran lunga più diffusa, coinvolge un terzo del campione preso in esame.
E’ percepita dagli uomini-padri come l’atto di violenza più subdolo e al contempo più crudele, che stravolge in profondità l’equilibrio psico-affettivo del soggetto denunciato, la sua autostima, l’immagine sociale e le relazioni con l’esterno.
Nella metà circa dei soggetti ha determinato - anche dilazionata nel tempo - una inibizione temporanea o difficoltà di varia natura della regolare attività sessuale.
Oltre i due terzi dei soggetti bersaglio di tale violenza hanno espresso riluttanza - graduata fino al rifiuto - circa la possibilità di procreare altri figli con una nuova partner.

Nel 94% dei casi presi in esame la denuncia è stata archiviata dal magistrato poiché il fatto non sussiste, ed ascritta alla conflittualità di coppia; nel restante 6% il padre è stato assolto con formula piena nel corso del giudizio, per non aver commesso il fatto.
Uscendo dai limiti di un’inchiesta condotta su un campione ridotto, ed esaminando cosa emerge in dimensione nazionale, va rilevato come il Prof. Francesco Montecchi, primario di neuropsichiatria infantile presso l’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, denunci ormai dal 1999 lo stesso dato allarmante: l’80% delle accuse di abusi che si scambiano i genitori separati sono del tutto infondate, costruite al solo scopo di nuocere all’ex coniuge.

In tutte le circostanze l’iter processuale è devastante. Oltre a tempi lunghissimi, comporta l’intervento di operatori cui il soggetto già vittimizzato deve sottoporsi in un contesto di colpevolezza data per scontata, e quindi di umiliazione e perdita totale della propria dignità di uomo e di padre.
La relazione con i figli, ovviamente sospesa nella fase istruttoria, risulta poi gravemente inquinata e in alcuni casi irrimediabilmente deteriorata.
Questa si evidenzia quale motivazione principale – sostenuta da propositi vendicativi – che spinge la parte denunciante a porre in essere tale azione.
Le conseguenze sui figli, analizzate in altra sede, non sono parte di questa indagine.
In nessun caso la parte denunciante ha subito conseguenze di carattere penale. Solo in tre casi sono state applicate blande sanzioni amministrative a conclusione di interminabili procedimenti per calunnia che i soggetti danneggiati avevano avviato con grande difficoltà, a causa degli atteggiamenti ostativi riscontrati in ambito giudiziario.
La disamina della documentazione giudiziaria ed amministrativa, combinata a verifiche di altra natura, rileva che nel 75% dei casi in esame di denuncia strumentale, la parte denunciante era già supportata od assistita legalmente da operatori direttamente od indirettamente collegati ai centri anti-violenza territoriali e/o ad associazioni professionali di cui è noto l’orientamento ideologico.
Identica situazione si rileva per le denunce strumentali di molestia o violenza sessuale sulla partner.


Note:

  1. Mario Andrea Salluzzo, Loretta Ubaldi, Maria Manunta, Paola Tomarelli, Sebastiano D’Assumma, Patrizia Pisano, Fabio Nestola, Silvana Mancini
  2. V. studio allegato


3 commenti:

Anonimo ha detto...

queste cose succedono quando gli uomini non si comportano da uomini o non sono uomini ma creature deboli
le donne sono esseri violenti e terribili quindi
alla donna, durante il fidanzamento e la conoscenza, oltre alle solite tenerezze, vanno appioppati una buona dose periodica di schiaffoni senza pietà (condotta da ripetere dopo il matrimonio)e tanto per mettere in chiaro chi comanda a questo punto i casi sono due:
o resta o ti molla
se resta vuol dire che, fatti i suoi conti le conviene e già sa cosa l'aspetta dopo il matrimonio se sgarra,
se ti molla meglio così

Lorenzo ha detto...

approvo (con riserva) il commento dall'anonimo datato 2 maggio 2010.
anch'io in 2 convivenze su 3 ho subito occasioni di lancio di oggetti, urla isteriche e offese. non ho mai reagito in vitù del fatto che si trattava di una donna (per chissà quale prassi sponsorizzata da film e televisione). Il risultato è stato che dopo essermi lasciato maltrattare, insultare e anche sfruttare economicamente, le relazioni si sono inevitabilmente interrotte. E sapete cosa penso oggi? Che ho sbagliato. In particolar modo quando mi sono stati tirati gli oggetti avrei dovuto reagire con qualche bel ceffone. Perchè ora credo che forse cercavano proprio il confronto, e più io facevo l'indifferente e più le irritavo.
Il riassunto di tutto ciò è che le donne (diversamente da quanto si pensa) al giorno d'oggi non vanno tutelate o rispettate "a qualsiasi costo"; le donne di oggi non sono le donne del Titanic, quindi cerchiamo di non associarle più ai bambini. Bisogna considerare le donne al pari degli uomini, e infatti d'ora in poi ad una qualsiasi offesa, insulto, atto indimidatorio o gesto violento proveniente da una donna, reagirò esattamente come se a farlo fosse stato un uomo. Senza rancore.

Anonimo ha detto...

Per il primo commentatore:
C'è anche il caso (molto concreto)che da non sposata sopporti gli schiaffi, salvo a rivalersi da sposata e con bebè.Allora in ogni momento è cosciente che si può prendere la casa, il figlio, il mantenimento e mandarti alla caritas per un pasto caldo.
Per il primo e il secondo commentatore:
Arrivare alle mani è un regalo che le fate. Indipendentemente dalle sue provocazioni, lei ed il resto del mondo, vi applicheranno il marchio a fuoco di "uomo violento"; questo inciderebbe molto se arrivaste ad una separazione (Un uomo violento non deve avere i figli ed è meglio non li frequenti troppo).
Se volete un consiglio da chi ha i capelli bianchi da un pò:
1° non fate figli se abitate nella casa di vostra proprietà (in separazione la perdereste).
2° trovatevela che abbia un lavoro non occultabile e che provenga da famiglia "normale", meglio se numerosa, mai figlia unica.
3° se non la trovate "adatta" lasciate perdere i progetti seri.

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