6 febbraio 2009

A cura di Fabio Nestola
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Violenze in Famiglia: quello che l’ISTAT non dice


La violenza domestica costituisce una tipologia di reato in costante espansione, complesso da analizzare in quanto la tendenza degli autori a contenere gli episodi entro le mura domestiche incontra frequentemente la connivenza più o meno passiva delle stesse vittime.
Siamo pertanto in presenza di un fenomeno sommerso, del quale non è facile tracciare i contorni.
Una conoscenza approfondita del fenomeno nel suo insieme, tuttavia, è essenziale per lo sviluppo delle politiche e dei servizi necessari, a partire dalle campagne di sensibilizzazione per arrivare alle contromisure legislative finalizzate a prevenire e/o contenere la violenza.
Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che analizzano la violenza di cui è vittima la figura femminile vengono proposte con continuità a livello istituzionale e mediatico, da diversi decenni.
Di contro, non esistono in Italia studi ufficiali a ruoli invertiti; vale a dire approfondimenti sulla violenza agita da soggetti di genere femminile ai danni dei propri mariti o ex mariti, partners ed ex partners, parenti a affini di vario grado.
Questa curiosa e pluridecennale lacuna può avere origine da due presupposti:
1) aggressività e violenza femminile non esistono
2) se esistono, sono legittimate; pertanto non è interesse della collettività studiare alcuna misura di prevenzione e contenimento

Entrambi i presupposti sono, evidentemente, paradossali
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L’ISTAT, su mandato del Ministero per le Pari Opportunità, ha pubblicato un’indagine sulla violenza in famiglia subita dalle donne, prevedendo diverse batterie di domande relative alla violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica. Da un campione di 25.000 interviste, trasportato in dimensione nazionale, risulta una proiezione di circa 7.000.000 di donne che subiscono violenza dal proprio partner o ex partner.
Dati allarmanti, che vengono propagandati con continuità.
Analizzando con cura il questionario somministrato dall’ISTAT, viene però da chiedersi se detto questionario non sia stato elaborato con il preciso obiettivo di far emergere dati numericamente impressionanti, sui quali costruire un allarme sociale.
Il questionario è stato elaborato in collaborazione con le operatrici dei centri antiviolenza , era difficile immaginare che ne sarebbero potuti uscire dati non faziosi.
L’impatto sull’opinione pubblica, infatti, è generato dal dato conclusivo – 7.000.000 di vittime – senza approfondire da cosa scaturisca questo dato.
Oltre ai quesiti su violenza fisica (7 domande) e sessuale (8 domande).), il questionario ISTAT lascia uno spazio ben maggiore alla violenza psicologica (24 domande).
Alcuni dei quesiti, però, sembrano finalizzati a raccogliere un numero enorme di risposte positive, descrivendo normali episodi di conversazione sicuramente accaduti a chiunque, che risulta difficile configurare come “violenza alle donne”.
Ad esempio

- la ha mai criticata per il suo aspetto?
- per come si veste o si pettina?
- per come cucina?
- controlla come e quanto spende?

Ai fini statistici non c’è differenza fra un atteggiamento aggressivo e denigratorio ed un consiglio pacato, collaborativo, spesso indispensabile, a volte anche migliorativo.
“cucini da schifo, ti ammazzo di botte se non fai un arrosto decente” è sicuramente violenza, ma lo diventa anche “cara, oggi il risotto non è venuto bene come la volta scorsa”
Oppure
“con quei capelli sembri una puttana, ti spacco la faccia se non li tagli” è sicuramente violenza, ma lo diventa anche “questo taglio non ti dona, magari fra due giorni mi abituerò, ma ti preferivo con la pettinatura precedente”
Oppure ancora
“non ti do una lira, se vuoi i soldi per la profumeria vai a fare marchette” è sicuramente violenza, ma lo diventa anche “non ce la facciamo, mettiamo via i soldi per il mutuo, purtroppo questo mese niente palestra per me e parrucchiere per te ”

L’intervistata risponde affermativamente, quindi le intervistatrici possono spuntare la voce “violenza”, senza che l’intervistata lo sappia.
Infatti la domanda non comporta le diciture esplicite “aggressività, violenza, umiliazione”; si limita a chiedere se un episodio è accaduto, poi è l’intervistatrice che lo configura come violento anche se l’ignara intervistata non lo percepisce affatto come tale.

L’ISTAT infatti, per giustificare l’equivoco sul quale è costruito il questionario, ammette che le intervistate spesso non hanno la percezione di aver subito violenza.
A tale scopo aggiunge alle note metodologiche questa dicitura
Le domande tendono a descrivere episodi, esempi, eventi di vittimizzazione in cui l’intervistata si può riconoscere. La scelta metodologica condivisa anche nelle ricerche condotte a livello internazionale è stata dunque quella di non parlare di “violenza fisica” o “violenza sessuale”, ma di descrivere concretamente atti e/o comportamenti in modo di rendere più facile alle donne aprirsi.
Il dettaglio e la minuziosità con cui si chiede alle donne se hanno subito violenza, presentando loro diverse possibili situazioni, luoghi e autori della violenza, rappresenta una scelta strategica per aiutare le vittime a ricordare eventi subiti anche molto indietro nel tempo e diminuire in tal modo una possibile sottostima del fenomeno. Sottostima che può essere determinata anche dal fatto che a volte le donne non riescono a riconoscersi come vittime e non hanno maturato una consapevolezza riguardo alle violenze subite mentre possono più facilmente riconoscere singoli fatti ed episodi effettivamente accaduti.
Presentando il rapporto, poi, l’ISTAT scrive:
Le forme di violenza psicologica rilevano le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di isolamento, le intimidazioni, le limitazioni economiche subite da parte del partner.

Anche frasi innocue come “la frittata oggi è un po’ sciapa”, oppure “ti preferivo senza permanente” vengono classificate come denigrazioni, quindi diventano una forma di violenza alle donne.
Ecco come nascono 7.000.000 di vittime.
La statistica al servizio dell’ideologia

L'estensione del concetto di violenza ad aggressioni verbali e pressioni psicologiche, scaturito dalla recente indagine "Quali sono e come si chiamano le violenze contro le donne" apre la strada a qualunque interpretazione.
Come misurare con un questionario chiuso "l'offesa all'emotività di una persona"?
Ciò che a una donna dà fastidio a un'altra sembra cosa di poco conto, un’altra ancora ne ride: è un fatto puramente soggettivo.
Lo stesso dicasi per le pressioni psicologiche nella coppia.
Tra le nove domande ritenute appropriate per misurare questo tipo di violenza, alcune lasciano quantomeno perplessi.
Per esempio le seguenti:

Il vostro coniuge o compagno: mai / raramente / qualche volta / spesso / sistematicamente
- Ha criticato o svalutato ciò che fate?
- Ha fatto osservazioni sgradevoli sul vostro aspetto fisico?
- Vi ha imposto il modo di vestirvi, di pettinarvi, di comportarvi in pubblico?
- Non ha tenuto conto o ha manifestato disprezzo per le vostre opinioni?
- Ha preteso di dirvi quali dovrebbero essere le vostre idee?.

Lo sconcerto aumenta quando si scopre che queste pressioni psicologiche - che ricevono la più alta percentuale di risposte positive - rientrano nel coefficiente totale della violenza coniugale, assieme agli "insulti e minacce verbali", al "ricatto affettivo" e, sullo stesso piano delle "aggressioni fisiche", dello "stupro e altre prestazioni sessuali forzate".
Il coefficiente totale della violenza coniugale così concepito vedrebbe dunque interessato il 10% delle francesi, delle quali il 37% denunciano pressioni psicologiche, il 2,5% aggressioni fisiche, e lo 0,9% stupro o altre prestazioni sessuali forzate.

E' possibile affiancare le azioni fisiche a quelle psicologiche come fossero elementi di ugual specie?
È legittimo condensare nello stesso vocabolo lo stupro e un'osservazione sgradevole o offensiva?
Si risponderà che in entrambi i casi viene inflitto dolore.
Ma non sarebbe più rigoroso distinguere tra dolore oggettivo e dolore soggettivo, tra violenza, abuso di potere e inciviltà?
Il termine violenza è così legato nelle nostre menti alla violenza fisica che si corre il rischio di generare una deplorevole confusione facendo credere che il 10% delle francesi subiscano aggressioni fisiche dal coniuge.
Questa somma di violenze eterogenee che si fonda sulla sola testimonianza di persone raggiunte telefonicamente privilegia in gran parte la soggettività. In mancanza di un confronto con il coniuge, di altri testimoni o di un colloquio approfondito, come è possibile prendere per buone le risposte acquisite?

Il testo è un estratto da Fausse Route, 2003, pubblicato in Italia nel 2005 (La strada sbagliata)
Opera di Elisabeth Badinter, filosofa francese e femminista storica, non di un misogino integralista talebano

Dunque, la Badinter giudica faziosa, fuorviante ed inattendibile la ricerca commissionata in Francia dalla Segreteria dei Diritti delle Donne.
Contesta la validità del metodo di indagine dal quale emerge un dato mistificatorio: si vuol far credere che il 10% delle donne francesi subisca violenza fisica o sessuale

Da noi cosa accade?
L’indagine italiana, condotta con identiche modalità, delinea un panorama ancora più allarmante: 31,9%, più che triplicati i risultati francesi.
Dal sito ISTAT:
PRINCIPALI RISULTATI
Sono stimate in 6 milioni 743 mila le donne da 16 a 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita, il 31,9% della classe di età considerata.
Da notare una curiosa svista dell’ISTAT: le violenze psicologiche, strumento principale per creare stime in grado di gonfiare l’allarme sociale, hanno uno spazio prevalente nel questionario (24 domande), ma si evita accuratamente di nominarle al momento di pubblicare i risultati.
Il dato del 31,9%, infatti, viene citato come percentuale di vittime di violenza fisica o sessuale.
Ci asteniamo dal fare ulteriori commenti, lasciamo a chi legge il compito di trarre le proprie conclusioni.
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Tuttavia, a prescindere da ogni considerazione, vogliamo fare una feroce autocritica.
Sconfessiamo la Badinter, ammettiamo che la lettura della sua analisi ha insinuato cattivi ed ingiustificati pensieri sull’ISTAT e soprattutto sul committente, il Ministero per le Pari Opportunità, che - al contrario di quanto Fausse Route ci aveva indotto a supporre - non aveva chiesto un’indagine dalla quale dovessero obbligatoriamente emergere dati roboanti, così come non lo aveva chiesto a Parigi la Segreteria dei Diritti delle Donne.
Ammettiamo quindi che il questionario sia perfetto così com’è, rispondendo a criteri rigidamente scientifici, imparziali, oggettivi.
Resta il fatto della curiosa nota iniziale: non esistono in Italia studi ufficiali sulla violenza agita da soggetti di genere femminile ai danni dei propri mariti o partners, ex mariti o ex partners.
Forse la violenza è a senso unico, quindi quella femminile non esiste.
Come mai nessuna fonte ufficiale ha mai sentito l’esigenza di verificare?
Allora il passo è consequenziale: visto che ISTAT e Ministeri non hanno interesse ad investire fondi per l’elaborazione di dati ufficiali, necessita almeno un’indagine ufficiosa.
Ufficiosa, si, ma attraverso uno strumento istituzionale, conformato ai criteri di imparzialità e rigidità scientifica propri dell’ISTAT: è necessario utilizzare il prezioso know-how dell’Istituto di statistica, proponendo l’identico questionario a soggetti di genere maschile.
Un leggero lavoro di adattamento si è reso indispensabile (es. le domande sulle violenze subite in gravidanza, tipicamente per destinatarie donne, e le domande sulla minaccia di vedersi esclusi dalla vita dei figli in caso di separazione, tipicamente per destinatari uomini).
Qualsiasi struttura no profit del Terzo Settore non può gestire un budget come quello dell’ISTAT, pertanto la modalità di somministrazione deve necessariamente essere diversa.
L’ISTAT ha impiegato per 9 mesi 64 operatrici appositamente formate, per raccogliere 25.000 interviste telefoniche. L’indagine ha richiesto inoltre una lunga fase di progettazione con focus group, indagini qualitative, pretest e indagini pilota prima di poter definire la versione del questionario e la metodologia. Quindi il compito di elaborare i dati raccolti.
Altro lavoro, altro personale retribuito oltre ai 64 contratti a progetto e ai costi di utenza telefonica: decine di migliaia di telefonate interurbane, a Bolzano come a Siracusa.
Decisamente costi neanche immaginabili per il mondo no profit.


1 commento:

Anonimo ha detto...

L'ISTAT è assolutamente INATTENDIBILE.
Io devo compilare ogni mese, per l'ISTAT, dei questionari dettagliati relativi ad aziende.
Per compilare un questionari ci vorrebbero DUE SETTIMANE di lavoro. Come faccio a mandar avanti le aziende se per metà giornata DEVO compilare questionari?
Risultato: MI INVENTO I DATI, come fanno TUTTI. E ci perdo comunque un paio d'ore.
Devo pur mangiare.
Amen.

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