aggiornamento del 30 giugno 2000
Risolto il delitto di Chiavenna: Maria Laura Mainetti, 61 anni, massacrata a coltellate da amiche «normali»
Sotto il macigno delle prove schiaccianti due sono scoppiate in lacrime. La terza, la «dura» del gruppetto, ha esclamato, fredda, lucida: «Doveva morire quella bastarda di suora». Nei loro quaderni di scuola gli inquirenti avevano trovato croci rovesciate, stelle a cinque punte, scritte blasfeme: un confuso repertorio di satanismo e di occultismo. Dal giro degli amici si è saputo anche di certe loro prove di sedute spiritiche.
Durava da 4 ore l'interrogatorio nella caserma e fino a quel momento le tre diciassettenni sotto torchio - due studentesse, un' altra in cerca di lavoro, ragazze normali di famiglie assolutamente normali - avevano ostinatamente negato tutto, non c' entravano per nulla con le 19 coltellate con cui, la notte del 6 giugno, qualcuno aveva fatto fuori suor Maria Laura.
Ma gli inquirenti dovevano ancora giocare le carte decisive ottenute anche grazie all'intervento da Milano di una squadra specializzata di carabinieri forniti di strumenti ad altissima tecnologia. A pesare sono state soprattutto le intercettazioni telefoniche: risultava un intenso confabulare fra le tre quando sui giornali, la fine della scorsa settimana, era uscito l' identikit di una di loro. «Ma no - rassicurava le compagne quella che poteva essere sotto tiro - mi sono tagliata i capelli, come potrebbero riconoscermi?».
Così ogni tentativo di nascondere ancora la verità è crollato e nella caserma si è dipanato il tragico film: la madre superiora attirata nel viottolo con il pretesto che lì una delle ragazze - quella che al telefono aveva finto di essere stata violentata e messa incinta e chiedeva ospitalità in convento per non abortire - aveva lasciato l'auto con i vestiti di ricambio. Poi una che comincia a colpire la religiosa con una pietra, un secondo colpo, un terzo. Infine i 19 micidiali fendenti.
«Era iniziato come un gioco» hanno raccontato. All'appuntamento con quel «gioco» le tre erano giunte con almeno un coltello. L'accusa per tutte e tre: omicidio volontario premeditato. Ora sono nel carcere Beccaria.
«Un omicidio a sfondo antireligioso», ha sottolineato ieri il procuratore di Sondrio Gianfranco Avella che ha coordinato le indagini insieme con il collega del tribunale dei minori di Milano. Un tentativo di «spiegare» qualcosa che forse non ammette spiegazioni razionali. Un sacrificio umano senza alcun plausibile movente. Una specie di rito di iniziazione. E, consumato l'omicidio, pochi giorni dopo, nello stesso viottolo sono comparse, in pennarello grigio, altre scritte sataniche. La «firma» sul delitto. Sembra da escludere comunque un'affiliazione a una setta sanguinaria. Piuttosto la ricerca di emozioni estreme, magari per vincere la noia della vita di provincia.
«Ciniche e determinate come certi mafiosi - sottolineano ancora gli inquirenti - e una di loro ha assunto nel gruppo il ruolo di autentica leader». Dunque volevano colpire un obiettivo religioso, uno qualsiasi. Sulle prime si pensava all'arciprete di Chiavenna, don Ambrogio, ma è alto e robusto, meglio ripiegare su quella suora mingherlina nota a tutti per la disponibilità a correre in aiuto di chiunque avesse bisogno. Così si è architettata la storia della ragazza violentata e messa incinta e, per farla franca, invece dei cellulari avevano deciso di ricorrere a una cabina pubblica per stabilire i contatti con il convento.
Il primo tentativo, la sera del 3, un sabato, era però fallito. La suora, commossa da quella storia, era subito corsa fuori dal convento, come ci si attendeva, per incontrare la ragazza «sfortunata». Ma le altre due non si sono fatte vive, forse è mancato il coraggio. Il martedì successivo l'«obiettivo» invece è stato colpito e verso mezzanotte le tre sono rincasate (una ha dovuto lavare il coltello, poi recuperato dai carabinieri).
Per altre tre settimane hanno continuato la loro vita «normale», gli stessi amici, gli stessi locali. Le studentesse hanno concluso regolarmente l'anno scolastico. Una si era anche impiegata in un bar. Ma non si erano accorte che le indagini stavano arrivando a loro.
La sera del 3 giugno un testimone aveva notato quella ragazza con la suora, la faccia giovanissima, i capelli ricci. «Si era partiti - dice il colonnello Luigi Verde - negli ambienti dei tossicodipendenti e dei balordi. Ma si è rivelato un vicolo cieco. Così si è passati a esaminare praticamente tutti i casi di ragazze sui 16, 17 anni della zona. E il lavoro alla fine ha premiato».
Ammesso il delitto le tre si sono chiuse in un cupo silenzio. Nessun segno di pentimento. Una era preoccupata: «Domattina mi attendono al bar». Il confronto con la realtà deve ancora cominciare.
Uno dei papà ha assistito all' interrogatorio della figlia, che ha 17 anni. E lì, nell' ufficio di una stazione dei carabinieri sul fondo della Val Chiavenna, si aspettava di vedere la sua ragazzina alzarsi, sorridere e dire al magistrato: «Ma no, vi state sbagliando». Invece ha dovuto ascoltare una confessione.
Omicidio premeditato: «Non ci posso credere, è un incubo - ripete qualche ora dopo l'uomo a un parente, senza smettere di piangere -. E hanno anche detto che non c'era nessun motivo, che stavano scherzando».
Diciannove coltellate per uno scherzo, senza movente: a meno che non si dia ascolto alle storie su pseudoriti satanici in cui, forse, qualcuno si è spinto fino a perdere i confini tra il gioco e la realtà. Dopo la morte violenta di suor Maria Laura Mainetti, le tre presunte assassine con le loro ammissioni hanno ora ucciso la serenità: a Chiavenna tutti si aspettavano l'arresto di un fuorilegge incallito o forse di un drogato o magari di un extracomunitario. Comunque di un estraneo, entrato in contatto con l'istituto delle Figlie della Croce di Sant'Andrea, di cui suor Maria Laura, 61 anni, era la madre superiora. Ma adesso che i carabinieri e la Procura di Sondrio hanno messo sotto accusa tre adolescenti, il coinvolgimento, in questo paese di settemila abitanti in cui si conoscono tutti, è forte. Perché le tre ragazze non erano tossicodipendenti e neppure emarginate; per 23 giorni, dalla sera dell'omicidio, hanno continuato la vita di sempre: il pomeriggio ai tavolini del bar vicino al municipio, qualche notte in discoteca, l'unica che c' è. Due andavano a scuola, sono state promosse. La terza, dopo una bocciatura alle superiori, aveva smesso di studiare: ma mai un guaio, di quelli che trasformano l'esuberanza dei teenager in cronache da baby gang.
Piange un altro papà: «Mi è caduta una bomba in testa. Mia figlia è buona, ha un buon carattere. Non riesco a rendermi conto di quello che è successo. La nostra è una vita normale. A posteriori un genitore tende a colpevolizzarsi. Ma segnali mai, per nulla. Solo le normali cose di famiglia. Stanotte non ho dormito e mia moglie è sconvolta».
L'unica speranza delle tre famiglie è che le loro ragazze si siano tirate addosso le indagini sull'omicidio per mania di protagonismo. È già successo una volta a Milano, otto anni fa. Tre famiglie distrutte. Due genitori separati, una mamma che lavora per un ente pubblico, un papà che ha chiuso un negozio e si è messo a lavorare sotto padrone, un altro papà artigiano, una moglie casalinga, un nonno che ieri ha attraversato il centro in bicicletta gocciolando lacrime a ogni pedalata. Questo il loro identikit.
Chissà se le tre insospettabili, presunte assassine avranno mai confidato a qualcuno il loro segreto: «Hanno continuato a vivere come se niente fosse - sostiene un'amica delle tre, in un bar vicino al municipio dove si ritrovano le compagnie di Chiavenna -. Due le conosciamo, venivano qui. La terza non l'abbiamo mai vista. La loro è una compagnia di una ventina di ragazze, tutte più o meno della stessa età. Solo ragazze, a 17 anni è così, anche se qualcuna ha il fidanzato».
Racconta un'altra amica, ex compagna di classe di una delle tre minorenni arrestate: «Si era tinta i capelli di rosso, ma questo non è un reato. Alle medie so che frequentava amici più grandi che facevano sedute spiritiche, sotto un portico in via della Molinanca. Ragazzate. Ma io non andavo, avevo paura». Via della Molinanca è nel paese vecchio, alla fine del vicolo della Gogna con i palazzi del Cinquecento. Sono passati almeno quattro anni dalla scuola media delle tre adolescenti, ma i sette archi del portico sono ancora un «tempio» notturno, in pieno centro. Sui muri, con la vernice nera, un ritratto del Maligno, avvolto da un serpente, la scritta «Satana forever», per sempre, e «Droga forever». Ma anche «Massi ti amo tanto», altre dichiarazioni d'affetto. I resti carbonizzati di qualche spinello. E tante croci rovesciate, il simbolo dell'Anticristo: dello stesso tipo di quelle apparse dalle parti di via Poiatengo, la mulattiera dell'omicidio.
Quel giorno era il 6 giugno, cioè il 6 del 6. Sui muri del cimitero era comparsa anche la scritta «666», il numero del demonio. Sono stati gli investigatori a far notare questo. Don Ambrogio Balatti, il parroco, è stato l'ultimo testimone a parlare con suor Maria Laura: «Le ero andato incontro quella sera, era tardi. E lei mi disse che aveva appena parlato con una ragazza che cercava aiuto e che l'avrebbe ospitata in istituto. Poi è tornata dove quella ragazza la stava aspettando».
E' la sera del 6 giugno. Suor Maria Laura Mainetti, 61 anni, madre superiora dell' Istituto «Immacolata» di Chiavenna, riceve la telefonata di una ragazza che chiede aiuto: «Sono rimasta incinta dopo uno stupro», dice la voce. La giovane ottiene di poter incontrare subito la suora. Maria Laura esce dal convento per l'appuntamento con la ragazza. Il suo corpo verrà ritrovato il giorno dopo massacrato con 19 pugnalate lungo un viottolo alla periferia di Chiavenna.
Polizia e carabinieri passano al setaccio gli sbandati della zona. Inizialmente si pensa infatti che l'assassino possa essere uno dei tossicodipendenti che la suora era solita aiutare.
Spunta un testimone che traccia un identikit dell'assassino. Solo ieri si è saputo che il testimone ha raccontato anche di aver visto la suora con tre ragazze, i cui telefoni vengono messi sotto controllo. Mercoledì sera vengono fermate tre diciassettenni di Chiavenna. A tarda notte confessano: sono loro le assassine di suor Maria Laura.
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