30 ottobre 2012

...le donne, abituate alla cura amorevole dei figli, sono da sempre più colme degli uomini dell'empatia verso gli altri indispensabile per vivere in pace... fonte


[...] difficile è conoscere il ruolo realmente sostenuto dalle donne nel genocidio del 1994 in Ruanda. Delle centoventimila persone accusate di genocidio, 3.564 sono donne. E' vero che si tratta soltanto di un 3,5 , e che è ancora troppo presto perché gli storici possano correttamente ricostruire gli eventi. Ma come non essere colpiti dal silenzio mediatico che le circonda? Un'eccezione notevole c'è, tuttavia, e si tratta di un articolo di cinque pagine dell'inviata speciale di "Elle", Caroline Laurent. Laurent ha incontrato quelle donne hutu, silenziose, che la giustizia accusava di avere "depredato, denuncialo, torturato, consegnato, incitato a stuprare e ucciso" diversi membri della comunità tutsi. A indicarle come colpevoli erano alcuni degli scampati e "testimoni che hanno raccontato la violenza dei colpi di machete, gli stupri, i massacri collettivi nelle chiese, le cacce all'uomo, alle donne, ai bambini" di cui esse sarebbero state partecipi. Secondo la presidente dell'Associazione delle vedove del genocidio di aprile, il cui marito è stato denunciato da una vicina e non è più tornato, il loro coinvolgimento è stato "importante e decisivo". E interamente preordinato dagli ideologi del genocidio. La loro partecipazione era indispensabile alla riuscita di quel sinistro progetto... Così donne di ogni estrazione - intellettuali, medici, docenti, religiose, madri di famiglia, agricoltrici - sono andate a ingrossare le fila dei massacratori... "Senza la partecipazione delle donne, non ci sarebbero state tante vittime".

Fonte: Elisabeth Badinter - "La strada degli errori. Il femminismo al bivio".
31 dicembre 2008 - Migliaia di donne sono state uccise da altre donne. Molte di loro sono state soppresse da donne di alta istruzione, di quelle che hanno accesso al potere politico ed economico. Molte delle loro vittime di entrambi i sessi erano fra le persone piu' istruite e meglio preparate professionalmente del Ruanda, essenziali allo sviluppo del Paese
dice il rapporto di African Rights, un'autorevole organizzazione con sede a Londra che si occupa di diriti umani.
La misura in cui le donne hanno preso parte attiva nei massacri e' senza precedenti. Non e' un fatto accidentale. Gli architetti dell'olocausto puntavano a corresponsabilizzare quanta piu' gente possibile, uomini, donne e anche bambini fino agli otto anni. Volevano fondare una nazione di estremisti forgiata dal sangue del genocidio. Se tutti fossero stati coinvolti, non ci sarebbe stato nessuno a puntare il dito accusatore.
Il rapporto sottolinea che queste donne oggi lavorano ancora in posizioni di responsabilita' in altri Paesi perche' godono di una presunzione di innocenza. La relazione e' piena di esempi di partecipazione entusiastica di donne al genocidio in cui morirono almeno 500 mila persone. Si va dai ministri di governo fino alle ragazzine di dieci anni che facevano da "cheerleader", incitando all'azione con canti e ululati.
Alcune donne hanno ucciso con le loro mani. Uno degli attacchi condotti contro i rifugiati sulla collina di Kabuye e' stato guidato da un'ex poliziotta incinta, Felicitee Semabuka. Ha sparato e lanciato granate su migliaia di persone disarmate. Molte donne hanno ucciso i loro stessi mariti e figli. Donne e ragazze derubavano morti e moribondi di gioielli, denaro e vestiti.
Molte si portavano dietro i figli, come in una gita di famiglia.
Alcune delle assassine di primo piano, come ad esempio Pauline Nyiramasuhuko, hanno utilizzato i figli come autisti, scorta e complici. Parecchi di questi giovani si sono fatti una reputazione di killer per conto proprio, ma la nomea delle rispettive madri come feroci assassine elevava il loro status e dava loro opportunita' addizionali di uccidere, rapire, saccheggiare e stuprare.
Coloro da cui la societa' si aspetterebbe protezione, come insegnanti, medici e religiose, hanno a loro volta partecipato alla carneficina. African Rights nomina due suore benedettine - Gertrude Mukangango, una madre superiora, e Julienne Kizito - che chiesero all'esercito hutu di svuotare il convento di Butare in cui si erano rifugiati migliaia di tutsi.
Chiamandoli "sporcizia che non dovrebbe insozzare un suolo sacro", madre Gertrude li fece portar via dai militari che ne massacrarono la maggior parte. Suor Julienne lavoro' direttamente con gli assassini, maneggiando le taniche di benzina con cui in sua presenza la gente veniva bruciata viva (fra essi, anche un impiegato tutsi del convento).
Madre Gertrude e suor Julienne sono ora rifugiate in un monastero belga. Il rapporto Non tanto innocenti chiede che venga meno l'immunita' di cui godono le donne assassine.
Pauline Nyiramasuhuko si occupa dei servizi sociali del campo di Bavuku retto dalla Caritas.
Chris McGreal Copyright The Guardian e per l'Italia La Stampa
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Le donne hanno avuto un ruolo non di poco conto nel genocidio. Hanno ucciso anche loro uomini, bambini e altre donne. 
Nel mese di aprile del 1994 ho visto una vicina, Espérance, vestita da militare, che portava un’arma da fuoco con una catena di pallottole intorno al collo. Ora si trova in prigione perché condannata per crimine di genocidio. Tuttavia, quando l’ho incontrata, durante una visita in una prigione, ha subito negato tutto. Tutti però sapevano che non avrebbe resistito a lungo.
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Condannata la ministra per le Politiche Femminili che ordinò gli stupri etnici
24 giugno 2011 - Ministro delle Politiche Femminili al tempo degli eccidi, è stata accusata di aver ordinato i massacri e gli stupri nel distretto di Butare - Pauline Nyiramasuhuko, sessantacinque anni, è la prima donna ad essere condannata dall'Ictr (International Criminal Tribunal for Rwanda) per aver preso parte al genocidio messo in atto nel Paese nel 1994.
Ministro delle Politiche femminili ai tempi del massacro, è stata condannata all'ergastolo - assieme al figlio e ad altri quattro funzionari - dopo un processo durato dieci anni. Circa 800mila Tutsi e Hutu moderati furono uccisi durante il genocidio in Ruanda, e Pauline Nyiramasuhuko è accusata di aver ordinato e coordinato i massacri del distretto di Butare (a lei assegnato), nelle regioni meridionali del Paese. L'ex ministro avrebbe contribuito alla creazione di milizie per "cancellare" l'etnia Tutsi in tutto il territorio nazionale. É inoltre accusata di aver organizzato i sequestri e gli stupri di donne appartenenti a questa etnia, ma da parte sua respinge tutte le accuse.
Prima del 1994, il distretto di Butare era abitato da una mescolanza di Hutu e Tutsi, e all'inizio non mancarono le resistenze al genocidio. Poi il principale oppositore presente nelle fila di governo fu costretto alle dimissioni, e i massacri ebbero inizio in tutto il Paese.
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Condannata la negazionista del genocidio
30 ottobre 2012, Kigali - Il capo dell'opposizione ruandese Victoire Ingabire Umuhonza è stata condannata ad otto anni di carcere per terrorismo e negazionismo del genocidio avvenuto nel 1994.
La sentenza è stata emessa dal giudice Alice Rulisa, che l'ha invece assolta per il reato di 'aver invocato un altro genocidio'.
Nel 2010 la Ingabire dichiarò, davanti al memoriale che ricorda gli 800.000 trucidati nelle guerra civile, che era venuto il momento di commemorare le vittime Hutu.
Lei stessa una Hutu, la leader delle Forze Democratiche Unite non era presente all'udienza ed ha preferito restare in cella, dove si trova da due anni.
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Le donne non sono assassine?

di Brooke Grundfest Schoepf (*)

Twagiramariya [*] fonda il richiamo all’unità sulla base del fatto che tutte le donne sono vittime e che “le donne hutu non uccisero”. Di primo acchito, può sembrare plausibile: siamo abituati a resoconti su donne vittime di violenza (African Rights 1995a). La ricerca sull’impatto del conflitto sulla vita delle donne si concentra sulla violenza maschile contro le donne, in particolare sullo stupro come strumento di guerra. Pochi hanno analizzato la capacità delle donne di mettere in atto forme di violenza.
Tuttavia, i giornalisti riportarono la presenza di donne presso numerosi posti di blocco dove i tutsi furono uccisi; alcuni “videro donne impugnare machete grondanti di sangue” (Lindsay Hilsum su Radio BBC, giugno 1995). 
Le testimonianze dei sopravvissuti in Rwanda mostrano che mentre le donne assassine provenivano da diverse classi, alcune donne dell’élite furono effettivamente a capo del genocidio (Omaar 1995). I loro nomi, ampiamente conosciuti in Rwanda, includono funzionari del governo (due membri del Consiglio, incluse il precedente ministro per la Famiglia e gli Affari delle Donne), medici, infermiere, insegnanti e anche suore.
Le testimonianze oculari sono dettagliate: alcune donne erano attive nei preparativi che portarono al genocidio, altre nel mobilitare sentimenti razzisti, insegnando e trasmettendo la propaganda dell’odio.
La rappresentazione scelta da Twagiramariya di donne sottomesse, di “vittime innocenti”, scompare di fronte alla terribile attività delle donne che impugnarono machete, coltelli, clave chiodate, lattine di gasolio incendiarie e lance. Molte centinaia sono nelle prigioni rwandesi, ma a un certo numero di organizzatrici del genocidio è stato conferito l’asilo in Europa e in Africa. 
Migliaia di donne e ragazze parteciparono alle masse minacciose che circondarono le chiese, le scuole e altri luoghi di possibile rifugio dove le vittime erano concentrate; esse incitarono gli assassini e terrorizzarono le loro vittime ululando e ballando. In alcuni luoghi, le donne erano parte dei cordoni organizzati dalle autorità per stare spalla a spalla fuori dagli edifici in fiamme a prevenire la fuga delle vittime.
Molte presero parte agli attacchi. Alcune si occuparono dei colpi di grazia ai feriti, mentre altre depredarono i corpi dei morti o dei morenti, togliendo loro vestiti e gioielli. Molte ancora saccheggiarono le case dei loro vicini. Alcune continuarono a ucciderne i familiari con i loro bambini.
Molte denunciarono i tutsi che cercavano di nascondersi ai loro assassini. Altre collaborarono nel dare la lista dei nomi designati a essere uccisi. Alcune uccisero i loro stessi mariti o nipoti (African Rights 1994; 1995a; 1995b; interviste 1996). 
Molte donne e uomini hutu si opposero agli omicidi. Ciononostante, la strategia di generare la partecipazione più ampia possibile, attraverso la propaganda e le intimidazioni che hanno portato alla complicità nel genocidio, significa che migliaia di donne furono coinvolte. Il solo crimine che le donne non commisero è lo stupro.
La violenza da loro commessa era di genere, alimentata da gelosia, invidia e odio. Mentre gli uomini, e non le donne, costituivano la maggioranza dei pianificatori e dei perpetuatori del genocidio come anche la maggioranza delle vittime, rinnegare che le donne abbiano ucciso durante il genocidio è come mettere a tacere un aspetto fondamentale dell’esperienza tanto dei sopravvissuti quanto dei defunti.

[*]: Nel 1973, Claudine Vidal (1991) raccolse la storia di vita di Nyirabwandagara, una contadina  nata attorno al 1890, prima dell’arrivo degli europei, che viveva a Nyaruhengeri, un comune nel Sud della Prefettura di Butare.

(*): La Dr.ssa Brooke Grundfest Schoepf è "economic and medical anthropologist"  (Ph.D. Columbia University, 1969). Dopo aver svolto ricerche sul lavoro rurale in Inghilterra e in Francia, e aver insegnato negli Stati Uniti, nel 1974 ha iniziato la ricerca e l'insegnamento in Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo). Nel 1985 la Dr.ssa Schoepf ha iniziato a studiare le rappresentazioni popolari dell'AIDS con i colleghi africani a Kinshasa. Il loro "Projet CONNAISSIDA" (conoscenza dell'AIDS) ha sperimentato metodi di sensibilizzazione a livello comunitario per la prevenzione dell'HIV. Essi hanno collegato l'economia politica con la cultura per dimostrare il ruolo delle relazioni di genere, della povertà e della disuguaglianza globale nella propagazione dell'epidemia. Dal 1991 la Dr.ssa Schoepf, in qualità di consulente, ha svolto una ricerca e redatto linee-guida per la prevenzione dell'AIDS per conto di UNICEF, UNDP, OMS e Banca Mondiale. Complessivamente, la Dr.ssa Schoepf ha lavorato in quattordici paesi africani. E' "senior author" dello studio per l'Africa "Morire per la crescita: aggiustamento strutturale e salute dei poveri".



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