16 novembre 2015

Nel 2004 i servizi sociali allontanarono la bambina di sei anni da casa per il sospetto di molestie sessuali dal padre. Ma non era vero e adesso la Cassazione ha definitivamente condannato il Comune di Nova Milanese al risarcimento dei danni: oltre 200mila euro

di Cesare Giuzzi



Una maestra d’asilo che per sei mesi conduce una «personalissima ed assai discutibile istruttoria» sulle presunte violenze sessuali del padre su un’alunna di sei anni. Il caso che viene segnalato ai servizi sociali e il Comune che ordina che la piccola sia immediatamente tolta ai genitori e venga affidata a una comunità. Ma già sei mesi dopo, quando interviene il Tribunale dei Minori di Milano è chiaro, anzi chiarissimo, che non ci sono mai state molestie e, anzi, la piccola sei mesi dopo viene riaffidata alla famiglia. Con tante scuse. 
La storia
Era il 2004 e il sindaco di Nova Milanese (Monza e Brianza) nel frattempo è stato citato in giudizio dai genitori della piccola per i danni morali e biologici subiti dai figli (c’è anche un altro bambino). Ora la terza sezione civile della Cassazione ha condannato l’amministrazione comunale a risarcire i danni a causa dei gravissimi errori di valutazione della assistente sociale [e della psicologa] in quanto dipendenti del Comune. Ai due figli sono stati riconosciuti 50 e 60 mila euro di risarcimento, altri sono andati ai genitori della bimba, assistiti dall’avvocato Marino Viani e dal legale romano Stefano Felicioli, per un totale di quasi 260 mila euro (già versati). Una sentenza (presidente Giuseppe Salmè, relatore Raffaella Lanzillo) destinata però a far discutere. Perché da un lato c’è la difesa del Comune secondo la quale era necessario un intervento rapido e radicale per evitare che la piccola potesse subire altri abusi, e dall’altra la ricostruzione dei giudici della corte d’Appello che ha messo in luce una lunga serie di negligenze e pressapochismi di chi (i servizi sociali) doveva valutare quelle accuse.

L’allontanamento
Tutto inizia il 26 maggio 2004, quando l’allora sindaco dispone «l’allontanamento della minore dal nucleo familiare e l’affidamento a una comunità» per la piccola nata nel 1998. A far scattare il provvedimento è una relazione della assistente sociale sulla base della segnalazione di una maestra d’asilo: la piccola sarebbe vittima di abusi sessuali da parte del papà e per questo deve essere allontanata dalla famiglia. Per i giudici però, la maestra avrebbe condizionato la bimba. I magistrati hanno ricostruito che l’insegnante avrebbe effettuato delle indagini «in proprio» prima di segnalare il caso ai servizi sociali, avrebbe suggerito alla piccola «le risposte più confacenti alla tesi accusatoria». Il provvedimento del sindaco è stato preso con urgenza sulla base dell’articolo 403 del Codice civile che prevede l’intervento dell’amministrazione in caso di «abbandono morale e materiale» e in palesi situazioni di disagio minorile. In realtà l'assistente sociale avrebbe dovuto coinvolgere fin dal principio il Tribunale dei minori e la polizia giudiziaria per accertare i reati nei confronti della piccola.
Il Tribunale per i minorenni
Sei mesi dopo il provvedimento del sindaco, sulla base della consulenza del Ctu del Tribunale i magistrati hanno deciso il ritorno a casa della bambina «dando atto che gli accertamenti non avevano fatto emergere elementi compatibili con la possibile sussistenza di molestie sessuali». Valutazioni che, secondo i giudici, già spettavano alle assistenti sociali del Comune «incapaci di condurre una verifica rigorosa e critica della segnalazione proveniente da una maestra, della cui affidabilità chiunque avrebbe avuto motivo di dubitare». Il Comune, condannato in primo e in secondo grado al risarcimento della famiglia, davanti alla Cassazione ha chiesto che a pagare fosse invece lo Stato, visto che tutto era partito dal comportamento della maestra d’asilo, tesi però respinta dai giudici: «Il Comune è stato ritenuto responsabile non per il comportamento della maestra d’asilo, bensì per l’improntitudine del personale addetto ai servizi sociali che non ha saputo esercitare alcun vaglio critico sulle dichiarazioni e sulle convinzioni della maestra». Un «deficit di professionalità» che ha portato al maxi risarcimento (pagato dall’assicurazione del Comune) per la famiglia della piccola, oggi 17enne.



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