8 novembre 2014

La singolare denuncia di un marito: “Picchiato e maltrattato da mia moglie”

Secondo l’uomo, lei voleva sempre soldi. A processo anche per estorsione

 RIOLO TERME - "Signor giudice, qui la vittima sono io”. Quell’“io” è un uomo fatto. Elegante, alto, fisicamente prestante, di mezza età, commerciante. La quasi ex moglie in aula gli siede di fronte, giusto qualche metro più avanti; lei talvolta piange, altre volte commenta amaramente. A vederla così, sembrerebbe la fotografia di uno dei tanti processi per maltrattamenti in famiglia a carico di un marito manesco. E invece l’uomo qui sgombra da subito il terreno. E’ lui “la vittima” in questa storia, almeno secondo l’economia processuale che lo vede finora come parte lesa anche se assistito da un avvocato (Barbara Sedioli) perché in quel non certo tranquillo ménage familiare, s’è beccato anche lui una querela dalla ex. Ma pur sempre parte lesa è, e nel contesto di reati di un certo spessore: maltrattamenti in famiglia, violenza privata ed estorsione. Perché è di questo che deve rispondere la donna, difesa dall’avvocato Alessandra Rizzo. I due, che si erano sposati 25 anni fa, sono in attesa di divorzio. Separati insomma, anche se per lo Stato ancora coniugi. Vivono da un paio d’anni distanti sebbene nello stesso comune, Riolo Terme. A dividerli, una sfilza di denunce tra il 2010 e il 2011 soprattutto per presunte percosse che sia il marito che il figlio avrebbero subìto dalla signora. “Ci minacciava tutti i giorni”, racconta l’uomo. “Veniva a casa nostra e ci picchiava”. Pugni, schiaffi e pure qualche oggetto brandito alla bisogna. “Diceva che se non le avessi dato i soldi che lei chiedeva, avrebbe buttato tutto per aria”. In effetti - prosegue l’uomo - diverse volte si erano ritrovati con la casa sottosopra.

“Quei soldi li voleva perché ha sempre bisogno di comperare cose per sé”. Il rapporto coniugale le sue prime crisi le aveva conosciute nel 2010 proprio a causa del danaro. I due lavoravano assieme: poi a detta di lui, lei avrebbe iniziato a tenere un comportamento dissipatorio. Da qui l’allontanamento dalla professione. “Il 22 marzo del 2012 mi chiamò mio figlio”, all’epoca adolescente, “mentre ero al lavoro: mi disse che c’era la mamma con un’ascia in mano che bussava. Io allora gli dissi o di chiudersi in casa o di scappare fino alla fermata del bus; e da qui di raggiungere la scuola dove lui poi andò e raccontò tutto all’insegnate di inglese”. Uguale a denuncia; così come era accaduto anche nel giugno di quello stesso anno quando “con un pezzo di legno, lei ruppe la finestra per entrarci in casa”. La ragione a suo dire, affondava sempre nei soldi: “Su consiglio del mio legale, le davo 500 euro al mese. Ma lei per averne altri mi portò via sia le chiavi del muletto che quelle del furgone”. Le servivano “2.000 euro per una bici elettrica: gliene diedi 170 per le mie chiavi”. Nella parole dell’uomo scorrono veloci altri presunti episodi di maltrattamenti domestici come quando “mi morsicò a un braccio” o quando “usò la scopa” o ancora quando “prese a schiaffi e graffi il figlio, tutto nei certificati medici”. A un certo punto, alle luce della tensione maturata, il tribunale aveva erogato un divieto di avvicinamento; ma dato che “non l’aveva rispettato, era finita ai domiciliari”. Del resto era arrivata “a minacciarmi sul lavoro. Tipo: se non mi dai i soldi ti ammazzo. Ho perfino scoperto che si rivendeva della merce di nascosto. Adesso siamo tranquilli perché abbiamo cambiato casa”. E fin qui le ragioni dell’uomo. In fondo analoghe a quelle tante volte lamentate in altri casi di presunti maltrattamenti se non fosse che, almeno per ora, la vittima è lui. 

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